Mc 14, 26-31; 66-73 Il canto della vergogna

 

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

 

Il canto della vergogna - Mc 14, 26-31; 66-73

Mentre Gesù è processato e condannato a morte, in una tragicità disarmante, Marco ci oppone a questa figura così stoica e fedele al Padre quella del pusillanime, di Pietro, fedelissimo del Maestro.
A tutti capita, almeno una volta nella vita, di guardarsi allo specchio e non riuscire ad accettare quello che vediamo, non per un motivo estetico o per i vestiti che portiamo, ma per il buio e la sofferenza che traspare nel nostro sguardo. La cosa peggiore è quando siamo noi gli artefici della causa del nostro disprezzo. Infatti, siamo pienamente consapevoli che la colpa è la nostra, nonostante ci sfoghiamo sugli altri o accampiamo scuse. Davanti allo specchio, non possiamo mentire e quel volto diventa il nostro peggiore incubo. Grossomodo, anche se di specchi non ne avrà avuti molti, questa è la sensazione che deve aver provato Pietro, dopo aver rinnegato Gesù. Nell'orto degli Ulivi era fuggito lasciando il maestro solo al suo destino. Spinto dal rimorso, "segue da lontano" (non più passo passo) il maestro, fino agli appartamenti del sommo sacerdote e li si apposta nel cortile, scaldandosi al fuoco insieme alle guardie e ai servi del palazzo.

Gesù, citando il profeta Zaccaria, aveva predetto l'abbandono dei suoi discepoli.
«Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto:
Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse.
[28] Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea».
Pietro, forse perché sentito chiamato in causa, subito aveva controbattuto:
«Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò».
Eccola là, la classica frase che diciamo tutti. Tutti sono dei mostri, degli incapaci, delle persone orrende ma io no, io sono giusto, io sono diverso.
Ma Gesù non si fa prendere in giro dalle chiacchiere del discepolo e controbatte:
«In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte».
Una predizione un po' strana (il gallo che canta far riferimento forse all'alba e ad un modo di scandire il tempo della notte?) che lascia interdetto Pietro e anche tutti i discepoli:
Allora Pietro gli disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò». 30 Gesù gli disse: «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte». 31 Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.

Nessuno reputa nemmeno lontanamente la possibilità di cadere, di essere fragile e di venire meno alla fedeltà al proprio maestro. Si riempiono la bocca di promesse vuote, di ipocrisia ma non hanno idea di cosa stanno dicendo. I fatti poi parlano chiaro: Gesù è portato via in catene da solo, senza che nessuno sia lì e che lo difenda, o che lo accompagni al suo destino.  

Pietro però ora è tornato, sembra volerlo seguire, nonostante il timore lo assalga. La predizione di Gesù però non cade nel nulla, ma trova compimento nella domanda che fa una serva di palazzo, che è lì con Pietro e che guardandolo in faccia lo riconosce come un discepolo di Gesù. Pietro però nega e fugge via e si leva sullo sfondo il primo canto del gallo. La donna però lo perseguita e gli mette contro anche i presenti e insiste nel dire che è del gruppo di Gesù. Pietro ancora nega e inizia ad alterarsi, teme per la sua vita, teme cosa potrebbe accadergli, per la sua incolumità. Ormai però i presenti ne sono convinti, addirittura lo accusano in quanto Galileo, forse a rimarcare la cattiva fama della regione di provenienza e quindi necessariamente un associato del criminale Gesù. 

Pietro però insiste, impreca, giura e spergiura che lui non ha mai visto Gesù, che non lo conosce. Avrà probabilmente lanciato insulti verso il maestro, lo avrà trattato con disprezzo, lui e i suoi ex compagni. Messo alle strette, Pietro rinnega tutto quello che c'è stato, tutto il rapporto con Gesù e con i dodici, i miracoli a cui ha assistito, la misericordia che lui stesso ha potuto sperimentare nello sguardo del maestro. In un secondo tutto quello che di prezioso aveva accolto svanisce in fumo. La sua sicurezza, le sue parole, la sua fede, tutto crolla nel momento di difficoltà. Pietro si dimostra un uomo, un povero semplice uomo. Nelle sue convinzioni, attaccato ai suoi ideali, basandosi sulle sue forze, pensava di poter riuscire a resistere, ad essere all'altezza del Signore e il migliore dei discepoli. Non aveva fatto i conti con il dolore, con la paura, con la codardia e le proprie fragilità. Marco vuole farci identificare nel discepolo che tradisce la propria fede. Chi non si può immedesimare? Chi non ha mai deluso un amico, chi ama e che gli è più vicino, chi non ha mai, per pura convenienza, messo da parte ciò in cui più credeva?

Marco non contrappone Gesù e Pietro, due facce della stessa medaglia. Entrambi uomini, ma diversi nello spirito. Gesù vive e respira lo spirito del Padre, vive nel suo amore, in un rapporto figliare completo. Gesù teme la morte, teme l'amaro calice che gli è porto d'innanzi, ma risponde con la preghiera. rafforza la sua fede, non parla a sproposito, ma intimamente ascolta la voce di Dio che lo guida. 

Dall'altra parte ecco Pietro, discepolo testardo duro a comprendere, che spavaldo crede di potere tutto, che nulla lo possa fermare. Ha il suo personale concetto di giustizia, sa lui cosa è giusto, ha tutto nella sua mente ben chiaro e disposto. Vede Gesù e la sua grandezza e deduce che quello che deve fare. Ha vissuto e sentito parlare Gesù ma non lo ha ascoltato. Non ha radicato in sé il suo insegnamento, non si è mai messo in preghiera per cercare il rapporto che il suo maestro aveva con il Padre. Eppure Gesù glielo aveva detto, di non fermarsi a lui, che lui era di passaggio, strada e porta ma non fine. Pietro si è fermo lì, ha costruito le sue quattro certezze ma ora, ecco che vengono meno. Pietro è l'uomo per cui Gesù muore, l'ipocrita che non sa essere fedele, che vede il maestro come pilastro della sua vita ma solo in superficie e senza di lui non può nulla. Pietro è il primo dei discepoli a comprendere il senso della morte di Gesù. La croce libera l'uomo dall'ipocrisia, dalla sua presunzione di essere sempre a posto e all'altezza. Nessuno basta a sé stesso, nessuno è realmente sereno e stabile nella tempesta quando si tratta di donare la vita. Serve che ci sia uno sguardo, qualcuno che ci faccia sentire vivi, pieni di amore, pronti a morire per quegli occhi. Negli occhi di un figlio, della persona amata, di un padre, passa l'amore di Dio.

Negli occhi di Pietro però ora resta solo la disperazione, nella sua testa risuona solo il canto del gallo che ancora emette un verso di condanna verso Pietro, facendolo scoppiare in lacrime. Pietro, che aveva lasciato tutto per un bene più prezioso, la vita che Gesù voleva donargli, ora perde tutto. La profezia di Gesù però non è una condanna al discepolo ma verità liberatoria: Gesù sapeva che Pietro lo avrebbe abbandonato e rinnegato, ma dicendoglielo preventivamente gli da la possibilità di sperimentare una realtà sconvolgente, che gli cambia la vita: Gesù, prima che lui lo abbandonasse, lo aveva già perdonato; con la sua morte riscatta anche questa debolezza. Prima però, il gallo deve sancire una nuova alba, l'inizio del giorno in cui la storia cambierà per sempre. 


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