Mc 14, 13-25 - Mangiare il corpo e bere il sangue

 Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

Mangiare il corpo e bere il sangue Mc 14, 13-25

Il titolo del post profuma di cannibalismo, come le accuse che venivano rivolte ai primi cristiani e cha ancora oggi sono riprese dai detrattori del cristianesimo a mo' di sfotto. Non ho le competenze teologiche necessarie per definire e spiegare il dogma della transustanziazione, che quindi glisserò furbamente, e mi concentrerò sul perché il cristianesimo ha dovuto impelagarsi in questa storia così complessa di mangiare il corpo e il sangue di Gesù, attenendomi al testo del vangelo di Marco.

Siamo al primo giorno della festa degli Azzimi, quando si mangia la Pasqua ebraica. Tale festività, che comincia con la cena di Pasqua appunto, si protrae per una settimana e ha come peculiarità quella di non poter mangiare del pane lievitato ma solo gli "azzimi" appunto. Gli ebrei festeggiano in questa ricorrenza la liberazione del popolo dalla schiavitù d'Egitto e la fuga attraverso il mar Rosso (Es 12,1-17). La cena pasquale, oltre al pane azzimo, prevedeva il mangiare le erbe amare e immolare l'agnello pasquale, dettaglio fondamentale per comprendere la Pasqua e l'eucarestia cristiana.




Questo periodo che comincia dal 15 di Nisan fino al 21, ha il suo principio il giorno 14 di Nisan, detto anche della preparazione, in cui si predisponeva l'occorrente per la cena Pasquale, come comanda la legge di Mosè (Es 12,1-20). La data che i  sinottici ci presentano è problematica: siamo a Giovedì sera, l'indomani sarebbe stato il giorno di Pasqua, in cui tutto il popolo era tenuto a fare riposo, il giorno successivo il giorno di Sabato, quando ogni attività, anche la più banale, non era concessa. Se storicamente la datazione è problematica e fa sorgere dubbi, letterariamente crea l'atmosfera ideale per sottolineare l'odio e l'ossessione contro Gesù.


I discepoli chiedono a Gesù dove procedere con i preparativi per festeggiare la Pasqua e in tono profetico il maestro li manda a cercare un uomo con una brocca, che ha già preparato una sala per loro (segno insolito, in genere le donne le portano, forse è un richiamo al battesimo che introduce alla comunità cristiana). Molto probabilmente Marco vuole mettere in mostra il dono profetico di Gesù: la cena che deve celebrare con loro è il banchetto decisivo, in cui tutto si compie; già tutto è pronto, la stanza al piano superiore è disposta con tutto l'occorrente per la Pasqua del Signore. Il tempo trova compimento in questa notte, lo stesso Giuda ha tradito del maestro. Tutto concorre a sottolineare questo: la cena Pasquale, Gesù che affronta il suo Esodo, che diviene lui stesso sacrificio immolato, agnello senza macchia. La stanza superiore è il luogo dove il Maestro può consumare la Pasqua, una sala già pronta e arredata per il banchetto.


L'immagine ha un forte senso escatologico, dall'uomo con l'acqua che richiama il battesimo come inizio della vita cristiana, al banchetto eterno, a cui il cristiano viene chiamato. Dall'eternità Dio ha preparato il banchetto per i suoi figli e li chiama a vivere la festa di solenne liberazione dal male. Sembra tutto così meraviglioso: Dio ha da sempre preparato per te una sala in cui festeggiare la tua liberazione, la salvezza dal male, dalla sofferenza, dai nostri limiti e dalla nostra fragilità. Il cristianesimo è una religione perfetta dal punto di vista della promesse di una vita migliore, di un rovesciamento della condizione misera della nostra esistenza. Immaginiamo che ci sia qualcuno che, ad un certo punto, ci porti via da ogni limite che viviamo: la povertà, il senso di insoddisfazione, di vuoto, di inutilità, la malattia, la paura. Perdona tutti i nostri comportamenti dovuti a questi limiti e festeggia con noi e con i nostri fratelli. Sembra bellissimo no? Onestamente, ho sempre riluttato questa visione del cristianesimo: non poteva forse Dio eliminare ogni fonte di male invece di condonarci le cattive azioni compiute, di cui poi tra l'altro, che colpa ne abbiamo?


Penso però che il Vangelo sia capace di spiazzarti come nessun altro può: Gesù si siede con i suoi discepoli e vive con loro la Pasqua. Mentre sono a cena, in maniera del tutto inaspettata, il Maestro sconvolge i commensali, annunciando che sa che qualcuno dei presenti lo tradirà condannandolo alla morte. Non una persona qualsiasi ma tra i più vicini a lui, uno che mangia con lui, intimamente vicino.
Questa morte è inevitabile, una colpa tremenda, un tradimento insopportabile, qualcosa che non si può perdonare. Potremmo paragonare tale gesto ad un padre che, prima mette al mondo un figlio e lo cresce, lo accoglie anche quando questo fugge e si ribella e il figlio, di tutta risposta, uccide brutalmente il padre. Però per essere ancora più incisivo propongo l'esempio rovesciato: pensate ad un padre che salva un uomo allo sbando, lo accoglie in casa sua, lo aiuta a rifarsi una vita, lo considera uno di famiglia, ma quest'ultimo, per gelosia e per invidia, decide di eliminare i figli del suo salvatore e brutalmente li uccide davanti a ai suoi occhi. La maledizione evangelica messa in bocca a Gesù è forse troppo lieve, dicendo che un uomo così sarebbe meglio che non fosse mai nato. Senza essere troppo buonisti, persone simili esistono, ne abbiamo esempi continui, e non sembra così crudele che i cristiani credano nell'inferno davanti a questi essere umani che perdono ogni umanità.


La cosa però più sconvolgente è che le scritture rifiutano un Dio che elargisce condoni o giustizialista. La genesi non parla forse di una creazione perfetta, in cui regna la pace assoluta? L'uomo solo una cosa non poteva fare (tra l'altro nemmeno essenziale, non si tratta di una privazione crudele) eppure proprio quella fa. L'uomo ha un dono immenso nella libertà, che gli permette di fare il bene e il male. Ecco cosa è la Pasqua cristiana: un banchetto di ringraziamento e salvezza dal male, in cui l'agnello che viene sacrificato è un uomo stesso, che altri non è che Dio. Gesù durante la cena annuncia che uno di loro lo ucciderà, lo venderà, ma la colpa è corale. Nessuno è esente dal male che potrebbe fare, che si oppone al bene che non si compie. Davanti allo sbigottimento dei discepoli, che iniziano a dubitare e accusarsi a vicenda, Gesù prende il pane e i vino e serve la cena. Lui stesso da tutto se stesso, la sua vita e il suo corpo, versando il suo sangue, immolandosi per l'umanità. Un uomo solo che redime tutti, come a Sodoma e Gomorra, dove pochi giusti potevano salvare tutti, un gesto d'amore che cancella tutti gli orrori del mondo. Un cristiano non è cannibale ma mangia la carne e beve il sangue perché assapora la salvezza che solo tale sacrificio può portare. Riprendendo l'esempio di prima, è come se l'uomo a cui sono stati strappati i figli brutalmente, senza pietà, davanti ai suoi occhi, per mano della persona che lui stesso ha amato e salvato, a cui ha dato fiducia, facesse qualcosa di incomprensibile: nel momento del giudizio terribile e senza appello, che ognuno di noi formulerebbe contro l'assassino, il padre paga la pena del suo carnefice.


Un cristiano, quando celebra l'eucarestia, assapora la salvezza che Dio gli ha concesso. Non si tratta di un distributore di indulti, per cui io faccio il male ma poi so già che sono perdonato, ma di un dono immeritato. Nessuno può realmente celebrare l'eucarestia se nel momento di mangiare il corpo e il sangue di Cristo non sente che, per quanto si sia agito rettamente, le sue mani potevano grondare di sangue, che ogni scelta che ha portato a del bene poteva essere sostituita da gesti orribili.
Giuda ha tradito Gesù, ma i restanti undici potevano essere a suo posto e non sono migliori. Gesù conclude dicendo che non berrà mai più il vino se non dopo essere nel regno del Padre. Questo è il destino del cristiano, la via della croce: dare la vita per i fratelli. Uno solo redime molti, un solo gesto d'amore può vincere le tenebre che sono presenti nel cuore di tutti noi, nessuno escluso. Gesù morendo in croce, sancisce una nuova alleanza con il sangue, come aveva fatto già Mosè (Es 24, 1-8). Nessuno può vincere il male, un mistero insondabile ci porta ad essere liberi e maledetti, a scegliere ogni giorno il male o il bene, con mille sfumature nel mezzo. Dio però si incarna nella storia per redimere l'uomo, per ricordare che l'esistenza non si gioca su ciò che vediamo ma si estende oltre la nostra percezione, supera ogni immaginazione, ribalta ogni schema, rovescia la giustizia più elementare, ponendo come modello la via della croce, l'amare i nemici, offrire la vita per salvare i carnefici. Ci ricorda che il senso della vita non è spenderla ma donarla.




Commenti

Post più popolari