Mc 12,1- 13,1 - I Nemici di Gesù, Parte 2


Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo



I nemici di Gesù


Come Gesù ci ha abituato ormai nel corso del Vangelo di Marco, ecco una parabola molto significativa, nota come la parabola dei vignaioli omicidi. Un padrone ha una vigna e la lascia a dei vignaioli per gestirla. Quando però manda dei messi a riscuotere i frutti della vigna, i contadini li cacciano malamente, senza pietà. La parabola racconta di un colpo di stato nella vigna che diviene illegalmente di proprietà di chi aveva il compito di custodirla. Arriva poi il colpo di scena: il padrone manda suo figlio, sicuro che avranno rispetto di lui. Ed ecco che sorge il pensiero perverso dei vignaioli di ucciderlo così che il padrone lasci la vigna a loro. Con una brutalità immane desiderano prendersi con la forza ciò che gli è stato affidato per prendersene cura.

Cosa dovrebbe fare il padrone se non togliere la vigna di mano di chi ha tradito la sua fiducia, uccidendogli per di più il figlio? Questo racconto Gesù lo espone ai Farisei e ai dottori della legge. Lui è il figlio di Dio, che è padrone della vigna, Israele. I sacerdoti e i capi religiosi e politici sono i vignaioli, a cui il Signore ha affidato il popolo e che, invece di farlo propesare e adempiere al compito fondamentale che gli è stato dato, opprimono e corrompono i fedeli. 

Il brano è un continuo inveire contro farisei e gli scribi,  non solo da un punto di vista della dottrina e della conoscenza sulla scrittura (si prendono gioco di Gesù sul tema della resurrezione, ponendo il problema riguardo a di chi sarà la moglie una donna che ha avuto molti mariti in vita, poi inveiscono su Gesù e non lo riconoscono messia perché non è figlio di Davide, sollevando un tecnicismo intepretativo), ma soprattutto  contro l'ipocrisia dimostrata e il continuo agire e pensare solo in termini di propria convenienza. 

Prima Gesù viene messo all'angolo, chiedendogli se sia giusto o meno pagare i tributi a Cesare, all'imperatore di Roma. Infatti, la Palestina era una provincia romana e doveva pagare regolari tasse all'autorità centrale. La domanda è faziosa: Gesù, che godeva dell'ammirazione delle folle, affermando che i tributi sono da pagare, porterebbe la gente a vederlo di cattivo occhio con una conseguente perdita di credibilità in favore dei farisei. In questo modo la casta sacerdotale gli metterebbe contro il popolo e i suoi seguaci. Se d'altro canto dicesseche le tasse non devono essere pagate, l'autorità romana lo potrebbe condannare immediatamente come sovversivo e togliere di mezzo. La strategia è vincente per i sacerdoti, in quanto Gesù mette in discussione con i gesti e la sua testimonianza la loro autorità, un pericolo da evitare e da combattere. 

Il problema di chi, pur di fare il proprio interesse, trama contro gli altri, anche cercando di infangare la verità, è che prima o poi Dio fa luce e svela l'inganno. Gesù, che non cade mai impreparato, svela la loro terribile ipocrisia: si fa portare una moneta e fa notare che è riportata l'effige imperiale. Quindi, ne deduce Gesù, la moneta è dovuta a Roma, le tasse esistono e sono di competenza dello stato. Tuttavia, anche se il denaro è dello stato e gli spetta, la fede è di Dio e anch'essa gli è dovuta, senza essere oggetto di negoziati economici, sono due cose distinte. Allora, come è possibile che davanti alla verità che Dio porta, si risponda con la menzogna? Come si può essere fedeli al tributo dell'impero e non alla fede verso Dio? Per di più, i sacerdoti e i saggi del popolo, come possono agire conto la verità, solo per interesse o per secondi fini? La fede è una questione amministrativa come in un'azienda?

Ancora, Marco ci presenta l'episodio della povera vedova, una donna che getta che due spiccioli nel tesoro del tempio (come se noi gettassimo 2 centesimi). Questa somma di denaro era alimentata dalle donazioni dei fedeli ebrei e sembra ci fossero vere e proprie gare per gettare denaro nel tempio, in una sorta di esibizione di sfarzo e richezza. Questa offerta doveva essere un dono di fedeltà a Dio, per tutto il popolo e per la vita religiosa del tempio. La povera donna non ha altro che due spiccioli e li getta, da tutta se stessa. I ricchi gettano il superfluo, fossero anche 300 denari. Ancora una volta la critica è alla ricchezza mal gestita ma soprattutto all'ipocrisia. Chi getta il superfluo solo per mettersi in mostra e chi dona tutto se stesso per fedeltà a Dio. 

Ecco il nucleo centrale della critica alla classe sacerdotale di Gerusalemme, i nemici veri del movimento di Gesù: coloro che 

"...amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere"

L'interesse di chi dovrebbe essere una guida, un' esempio e che dovrebbe dare la propria vita per gli altri, è solo al proprio interesse, al mettersi in mostra, al non essere in difetto, anche se questo significa mettere i piedi in testa a chi fa veramente il bene. Esaltare la propria fede in Dio, a costo di mettere Dio stesso in croce. 

Gesù mostra il volto di Dio misericordioso, svelando l'inganno di chi vorrebbe dipingere un Signore che giudica in base a opere e meriti. La vedova resta nell'anonimato di chi spende la sua vita per il Signore, nel misero rumore che le poche monete producono cadendo nel tesoro, in confronto alle donazioni abbondanti dei ricchi e i potenti, che con il loro tintinnio coprono il silenzio del vuoto della loro anima. 

Al centro del brano proposto Marco espone invece la logica di Gesù e quindi quella di Dio: Gesù e uno scriba discutano su quale sia il comandamento più importante e trovano in questo caso accordo nel fatto che niente è più fondamentale dell'amore per Dio e per il prossimo. Se non si è fedeli al Padre, si è fedele ad un idolo, ad un'idea, sì va dietro ad una moda e una dottrina, ma il vero volto di Dio resta celato dietro a dei fantocci che ne prendono il posto. D'altrocanto, non basta riempirsi la bocca delle cose di Dio, apparire come coloro che davanti al Signore non sono in difetto, se poi nella prassi non si ama il prossimo, non si ha cura del fratello, di chi ci è affidato, di chi chiede aiuto e viene posto dalla provvidenza sulla nostra strada. A Dio non serve dare un tesoro superfluo, "un inutile sacrificio" ma le poche monete che sono il tutto, il proprio amore e la propria dedizione, anche se sconveniente e comporta la via più difficile. A Dio si deve essere fedeli e lavorare e far crescere la sua vigna, ma perché possano esserci frutti concreti, che non sia solo una bella serra da esposizione, ma fonte di vita per tutti, non per una personale sete di potere e di conquista dell'eredità. 

La prospettiva che con la parabola della vigna Marco ci propone è spiazzante: sarà proprio chi apparentemente è più santo e giusto che, per il desiderio di prevalere, arriverà ad uccidere Dio stesso, dicendo di agire secondo la Sua volontà. 

 


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