Acqua e fuoco (Mc 9,14-29)

 

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

Acqua e fuoco (Mc 9,14-29)

Nella bibbia ci sono due fonti principali di purificazione: l'acqua e il fuoco. Secondo alcuni, gli stessi personaggi cardine dell'ebraismo classico, Mosè ed Elia, apparsi nell'episodio della trasfigurazione di Gesù, sono legati a questi due elementi. Mosè è colui che è salvato dalle acque, che ha redento il popolo affogando il nemico nel mare, portando Israele sano e salvo dall'Egitto attraverso il Mar Rosso.
Lui che da bambino venne abbandonato nel Nilo in una cesta e ripescato, sempre dai flutti porta in salvo il suo popolo.
Elia è il profeta del fuoco: con una folgore da cielo sconfigge i sacerdoti del Dio Baal e da un carro di fuoco ascende al cielo e raggiunge Dio.


Anche il Battista nel suo annuncio richiama i due elementi, in un duplice battesimo, che ora è nell'acqua ma che poi sarà nel fuoco.
La purificazione dallo sporco e dalle impurità passa per questi due elementi. Ancora noi oggi non possiamo farne a meno.


La storia che racconta Marco è quella di un ragazzo, indemoniato, che a causa del male che lo affligge ha delle crisi epilettiche tremende. Più volte, fin dalla tenera età, il ragazzo ha provato a liberarsi, uccidendosi proprio nel fuoco e nell'acqua, quasi un disperato tentativo di trovare purificazione dal male che lo affligge. Il demone muto e sordo, così detto perché impedisce a chi ne è affetto di sentire e parlare. Gesù è ancora sul monte e il padre del povero ragazzo, saputo della presenza del Nazareno, porta suo figlio dai discepoli, che tentano di liberare il poveretto. Ovviamente, come di consueto accade nel vangelo di Marco, il tentativo è fallimentare e la figura pessima dei discepoli è inevitabile. La folla si accalca e può vedere che questi santi uomini sono solo dei ciarlatani. Sono un bluff, dei cialtroni e dei truffatori che ingannano la gente. Alla fine la fede è proprio questo no? Chi ha fede è un povero cretino. Ha dei problemi come tutti, cerca disperatamente una soluzione e prova a trovarla nella fede, credendo che qualche entità sovrannaturale lo possa salvare. Se il miracolo avviene, allora sei un uomo di fede grande e Dio è onnipotente, se invece non va è perché non ci hai creduto abbastanza.
La fede è per i creduloni. Oppure non è così e lo stesso Vangelo sconfessa questa visione semplicistica del credere. 
Gesù raggiunge il luogo del delitto: tutti lo accusano, i suoi discepoli sono disperati e l'uomo chiede di intervenire perché loro hanno fallito. La risposta di Gesù è appunto una critica ai fedeli, che sono mancanti in fiducia verso Dio. Con questo magnifico trucco si salva la faccia anche questa volta. Il problema non è Dio, ma siete voi, che non credete, che non sperate sia possibile che il ragazzo guarisca, si salvi. 
Gesù però non accusa a vuoto, giusto per salvarsi il didietro, ma si rivolge a tu per tu con il padre. Questo infatti non crede in Gesù. Preso dalla disperazione è andato da lui, per provare, per vedere se le voci fossero vere. Non ha niente da perdere, spera che questo santone possa aiutarlo. Il ragazzo è epilettico dall'infanzia, è una vita che il padre cerca di trovare salvezza per questo figlio, senza successo. Proviamo anche questa stregoneria. Gesù, davanti a questo atteggiamento, picchia duro e rimprovera il padre. Se non credi che io possa salvare tuo figlio, non lo salverò. 

Se la fede fosse così, molte meno persone crederebbero. Immaginate di pregare Dio per un miracolo, mentre il resto della vostra vita non lo calcolate, non c'è. Se le cose vanno bene è merito vostro, se vanno male si prova a supplicare Dio. Se non va, è il mistero di Dio, o doveva andare così, giusto per non riflettere sul "perché non mi hai soccorso?". 

Gesù non vuole che l'uomo possa porsi questa domanda. Desidera che il padre sia certo che lui può guarire suo figlio, lo può salvare. Non i discepoli, con qualche stratagemma, non un santone qualunque. Gesù, il Cristo, solo lui può salvare il suo amato figlio. Infatti, poco dopo, provocando il demonio nel ragazzo, in una furente battaglia, ecco che il ragazzo muore. Tutta la folla rimane delusa vedendo che anche Gesù ha fallito. Il demone ha vinto e la fede è da cretini. A che serve illudersi, Dio non c'è, il nostro credere è vano ecc...

Il brano non è casuale, Marco lo mette tra due annunci della passione e la trasfigurazione. Gesù è il messia, il figlio di Dio. Credere in lui non vuol dire che tutto quello che ci pare accadrà. Non vuol dire che domani, se go fede, non avrò un tumore o non vedrò morire una persona a me cara. Anzi, la mia fede sarà palese solo allora, solo in quel momento potrà diventare tale. Prima è superstizione. I discepoli, diventano veramente tali solo dopo che vedranno Gesù morire e la sua sequela disfarsi ed essere perseguitata. Il padre del fanciullo ha fede perché quando vede suo figlio morire, resta lì. Non pensa che sia morto, che il demone abbia vinto. Ovviamente la realtà (quella che tutti vedono) è il ragazzo morto a terra, dopo sofferenze atroci. Gesù, con un tocco leggero, come con la figlia di Giairo, lo rialza e lo riporta alla vita. Se avesse creduto ai suoi compaesani, il figlio sarebbe rimasto lì senza vita. 

I discepoli chiedono a Gesù perché loro hanno fallito e lui no. La domanda fa eco a tutto il Vangelo: perché tu domi le tempeste, salvi vite, sei pronto a portare la croce e a morire, mentre noi, generazione incredula e infedele, non ne becchiamo una?
La risposta è la preghiera, parola e ascolto, ciò che il demone impediva al ragazzo. La fede è parlare con Dio, fare domande e mettersi in attesa delle risposte. Noi generalmente poniamo una richiesta e cerchiamo di capire quello che vogliamo noi. Oppure non chiediamo nulla, facciamo tutto di testa nostra, anche quando, fermandoci a riflettere ed ascoltare, la risposta di Dio sarebbe un frastuono impossibile da ignorare. La fede è rapporto con Dio nella preghiera, nella fedeltà e nel servizio. 

La fede non è da creduloni, illusi in una bella favola contro ogni evidenza, ma da credenti, che fedelmente resistono alle difficoltà, convinti che il Bene sia più importante di ogni convenienza personale, fine ultimo della proprio vita. 


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