Radicali o estremisti? (Mc 8,31-38)

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

Radicali o estremisti? (Mc 8,31-38)

Pietro è un personaggio molto particolare. Considerato pietra fondante della chiesa, è il discepolo che Gesù nel Vangelo di Marco tratta più duramente chiamandolo "Satana".
Ormai la marcia verso Gerusalemme è avviata e non c'è più tempo di nascondersi. Gesù parla apertamente ai suoi, gli chiede che idea si sono fatti di lui e Pietro non esita. Per lui il maestro è il Cristo, che in greco significa "unto", equivalente di Messia in ebraico. Un Salvatore che al tempo di Gesù poteva avere diverse nature in base al gruppo che lo identifica. Alcuni credevano fosse un condottiero, altri un sacerdote, per alcuni un santo, per altri il mandato da Dio. 
Gesù però è chiaro: il Cristo è colui che sarà ucciso e maltrattato dai potenti, dai sacerdoti e dagli scribi, ma che poi risorgerà dai morti e sarà glorificato. 

La profezia di un giusto che soffre per la redenzione è tipica di alcuni circoli di pensieri del tempo, come nei canti del servo di Isaia (Is 52,13 e Is 52,5), nel libro della Sapienza (Sap 3) ma già intestino antecedenti che li hanno ispirati come i testi mesopotamici del "Ludlul bel Nemeqi", conosciuto come canto del Giusto sofferente.
Sembra paradossale che l'amato di Dio soffra così tanto e Pietro giustamente si pone davanti a Gesù e lo sgrida. Non sia mai che avvenga qualcosa di così brutto. Il maestro però lo rimette al suo posto, dietro di lui, nella sequela. Un cristiano è colui che segue Gesù, non che insegue la sua convenienza e la sua gloria. C'è un modo di pensare di Dio e uno degli uomini. Cero, ci è difficile credere che u Buon Dio permetta e che favorisca il male, che lo lasci crescere e diffondere, ma la predicazione di Gesù è questa. Chi vuole trattenere la propria vita la perderà, chi rinnega Gesù, a sua volta sarà disconosciuto. 
Chi non vuole prendere la propria croce e non rinnega se stesso non può seguirlo. 
Sembra una follia da esaltati, che sono pronti a tutto per seguire il maestro, fino alla morte. Meglio perdere tutto ma non la propria anima. Un fondamentalismo radicale, difficilmente conciliabile con altre prospettive e visioni. O dietro a Gesù oppure all'inferno. 

Non credo però che leggere questi testi in modo cosi letterale sia corretto.  Tutti i discepoli avevano in testa chi fosse Gesù, alcuni lo consideravano il sommo profeta della vendetta, Elia, per altri il più recente martire Giovanni il Battista, per Pietro lui è il Cristo, colui che Dio benedice e in cui si compiace. Gesù in qualche modo acconsente, tanto che vuole che resti segreto, in linea con il segreto messianico in Marco, tuttavia, l.idea che si è fatto il discepolo è probabilmente come quello che vede il cieco di Betsaida (Mc 8, 22-26), cioè imperfetto. L.idea che noi abbiamo del mondo e di Dio stesso è errata. Vediamo il male e diciamo che Dio è un sadico che anche se esistesse, dovrebbe di certo morire ed essere condannato. Questa visione, piuttosto banale, nasconde una tragica verità. Noi parliamo per Dio. Quello che è il nostro desiderato lo vogliamo come realtà. Non è così. La vita è mutevole, complessa, non si adegua ai nostri paradigmi. Passa per incomprensioni, cambiamenti radicali e sconvolgimenti sociali drastici. 

Cosa dovremmo fare? Rifiutare un senso profondo nella nostra vita e goderci ogni giorno fino all'ultimo, senza stare lì a calcolare le conseguenze? Arroccarsi dietro le vostre convinzioni e barricarsi dietro le mura delle nostre certezze, del "è sempre stato così…"?  Proprio in questo momento storico la Chiesa si interroga sull'essere "in uscita", fuori dallo schemino che si è disegnato sulla carta. Se il fine è portare portare km Vangelo, devi anche rischiare di andare a morire Gerusalemme. Se la croce è un passo lungo la strada che no  si può evitare, ma si deve affrontare. Quale personaggio della storia che merita la nostra ammirazione (quella vera che segna la tua vita, non Fedez o l'idolo di turno per capirci) non ha speso la sua vita interamente per ciò che reputava giusto? A che serve un Martin Luter King, un Falcone, Ghandi o Gesù stesso se si fossero ritirati all'ultimo? Avrebbero salvato la vita, evitato la croce è probabilmente, vista la loro levatura, avrebbero ottenuto il mondo intero, fama, onore e stima. 

Ma a che serve ottenere il mondo intero se si perde la propria vita? Chi va avanti nonostante tutto, chi cresce dei figli nelle mille difficoltà di ogni giorno, chi affronta una malattia ed è fonte di coraggio e forza per gli altri, che lotta per i diritti e il rispetto del prossimo, questi sono coloro che sono pronti a perdere tutto per quello che credono sia giusto. Certo, ci sembra che la loro vita sia un  fallimento perché il male che hanno combattuto continua a dilagare nel mondo, ma credo che la forza che spinge queste persone ad andare avanti fino alla fine sia la speranza che quello che stanno facendo sia per il bene e che valga la loro vita.  

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