Chi è degno della Parola di Dio? (Mc 7,24-37)

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

Chi è degno della Parola di Dio? (Mc 7,24-37)

Gesù si muove con i discepoli verso nord, nella regione di Tiro e di Sidone, i paesi occupati dalle antiche popolazioni fenicie. Ovviamente, questi territori sono abitati da pagani, in prevalenza greci e siriani, di cultura a stampo fortemente ellenizzata. Questo ambiente è considerato storicamente molto ostile nei confronti dei giudei, tanto che nelle guerre giudaiche sarà alleato dei romani nella distruzione di Gerusalemme. Marco ci racconta due episodi cruciali che ci interrogano ancora oggi riguardo a chi siano i destinatari del vangelo. Infatti, se Gesù e i suoi discepoli sono ebrei, galilei, israeliti, le prime comunità erano molto eterogenee e il problema sull'ammissioni dei pagani, che non osservano la legge e le norme di comportamento prescritte nella Torah, era molto scottante nei primi secoli, come si evince anche dalle polemiche di Paolo sulla circoncisione o dal brano precedente in cui Gesù dichiara "puri tutti gli alimenti" (Mc 7,15). Con questi versetti l'evangelista e la comunità che redige il vangelo vuole ribadire che Gesù non viene solo per salvare gli eletti di Israele, ma che il Vangelo è per tutte le genti e per chi ha orecchi per accogliere la parola ed annunciarla. 

Marco, sulla falsa riga dei racconti di Elia ed Eliseo ( 1Re 17,8-24; 2 Re 4,18-37), mette il protagonista alle prese con una pagana che necessita soccorso.
Il primo personaggio che ci viene presentato è una donna, la cui figlia è posseduta da uno spirito immondo. Quando Gesù arriva in  città, il suo comportamento è abbastanza inconsueto, in quanto si barrica in una casa, per evitare che si sparga la voce sulla sua presenza. Il nocciolo della questione è proprio questo: in terra pagana, Gesù e i discepoli si chiudono dentro e si nascondono, non annunciano il Vangelo, non compiono guarigioni, fuggono tutti, anche la donna che disperata cerca il Maestro per salvare la figlia. Marco però sottolinea come è impossibile che Gesù possa restare nascosto (Mc 7,24). Il Vangelo, così come la stessa persona del nazareno non possono rimanere celati. Davanti alle suppliche della donna però Gesù è lapidario e anche molto duro: il pane (cioè la parola di Dio) va data prima ai figli (gli Israeliti) e non ai cagnolini (termine dispregiativo per indicare i pagani). Marco mette in bocca a Gesù delle parole molto dirette, evidenziando un comportamento che nelle prime comunità poteva sollevare molte discussioni. Se Dio viene a salvare il suo popolo, per gli altri non c'è spazio; al massimo, se c'è tempo, li coinvolgiamo più tardi. Questa è la mentalità tipica di alcuni cristiani di ogni tempo, di fare piccoli gruppi e tenere per loro il vangelo. Si pensa che non sia  per gli altri, ma che serva solo a noi per sentirci migliori di chi non ha tale privilegio. Ecco che la Chiesa non è più in uscita, ma diventa una roccaforte inespugnabile e inarrivabile da chi è fuori. Gesù ha moltiplicato i pani (Mc 6,30) partendo dai cinque che avevano, in terra di Israele, donando cibo senza limite; poi invia i discepoli che hanno paura falliscono nella missione; discute con i farisei su cosa sia puro e impuro ed ora affronta il tema di petto: quel pane di vita è solo per i giusti e gli eletti? Dalla risposta data alla donna sembrebbe di sì. Ed ecco che la poveretta spiazza il Maestro e ribalta la sua provocazione (cosa che i dottori della legge non sanno fare...) con una risposta secca e semplice. Vero che i figli hanno più diritto, ma le briciole cadono in terra e i cagnolini ne mangiano, anzi a volte i bambini sono quelli che danno di nascosto il cibo agli animali sotto il tavolo. La fede e l'aver ricevuto il vangelo è un dono che va condiviso e donato nuovamente, non tenuto per sé. Non è un caso che Marco metterà una seconda moltiplicazione dei pani, nota come "quella per i pagani" dopo questi due brani (Mc 8,-10). Il pane di vita che Dio concede è per tutti, non c'è nessuno indegno dell'amore del suo amore e di ascoltare il Vangelo. La donna pagana ottiene la salvezza della figlia perché ha riconosciuto che, nonostante lei non sia appartenente al popolo eletto e non abbia diritto di sangue ai pani, si accontenta di poche briciole. La fede non è una questione di misura o di appartenenza: arriva a tutti coloro che credono nell'amore di Dio e alla parola di Gesù. Chi, per particolari circostanze, riceve un posto privilegiato nel cammino della fede è chiamato ad essere luce e faro per gli altri, a sfamare e dare cibo a chi non ne ha. 

Se la fede per noi è solo uno strumento per sentirci bene e felici, più giusti in un mondo sbagliato e malato, dovremmo guardare in noi stessi e probabilmente vedremmo l'impurità uscire dal nostro cuore (Mc7,20).

Il secondo brano porta Gesù sempre nella Decapoli, nei territori pagani, ad incontrare un sordomuto, che non sente e non parla. Gesù compie una guarigione in pieno stile ellenista, secondo il modello dei terapeuti e dei papiri magici, utilizzando la saliva, considerata strumento guaritore per eccellenza (Plinio, Storia naturale 28,4 e Tacito, che nelle Storie parla di una guarigione di un cieco con la saliva da parte di Vespasiano). Gesù tocca la lingua e le orecchie dell'uomo; aldilà del disgusto che la scena suscita, il gesto del Signore è fortemente simbolico: la saliva, spirito condensato, apre i canali di comunicazione del poveretto, che non riesce a sentire la parola di Dio e a comunicarla agli altri. Ecco che l'uomo non può trattenersi dal raccontare ciò che ha sperimentato, diffondendo la speranza che Dio ha suscitato in lui. Gesù apre la bocca e le orecchie dei pagani, dell'uomo in generale, perché possa ascoltare la parola del Padre e possa testimoniare la misericordia e l'amore di Dio. 

La profezia di Isaia si compie in Gesù (Is 35,5-6) i sordi odono e i muti parlano. Gesù non è un semplice taumaturgo ma dona la parola di Dio che libera e rende discepoli. Coloro che non hanno più nulla in cui credere, che rifiutano ogni speranza, ora possono ascoltare una voce che li chiama alla salvezza, che non è preclusa o riserva per pochi intimi, ma a chiunque voglia seguire il Vangelo e Gesù lungo la sua strada.  Coloro che non riescono ad emettere un fiato, perché le parole finiscono davanti ai drammi della vita che ci rendono muti, ora trovano una nuova apertura, una voce che parla e proclama ciò che hanno ascoltato. Questa è la chiamata del cristiano: ascoltare la voce di Dio, lasciare che cresca in noi e poi farla vibrare nelle nostre corde vocali perché arrivi a tutti coloro che sono affamati del suo amore. Il cristiano riceve parole di vita, vero pane che sfama per sempre, è lui stesso portavoce di tale salvezza e dona lo stesso cibo a chi non ne ha. 

Non è una tessera che ci rende seguaci di Gesù, ne i riti più disparati, neppure il nostro modo di pregare o i dogmi in cui crediamo. Non importa quale sia la nostra nazionalità, i nostri meriti, la nostra storia. Non basta ascoltare i sacerdoti, leggere i teologi, fare il catechismo e organizzare eventi: tutto diventa inutile e ipocrita se ciò che esce dalla nostra bocca non è la stessa voce che ci ha chiamato, la parola stessa di Dio che ci è donata, che ci rende figli amati come lo è Gesù.

Commenti

Post più popolari