La missione impossibile (Mc 6,7-13)

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

La missione impossibile (Mc 6,7-13)

Facciamo un breve salto indietro, lasciando i ricchi palazzi di Erode, dove si banchetta e si brinda con il sangue dei profeti e torniamo per le strade della Galilea. Marco, prima di questo episodio, ci presenta Gesù intento nella sua predicazione itinerante per i villaggi, nettamente preferiti alle grandi metropoli palestinesi. I dodici uomini che il Cristo ha eletto, chiamandoli per strada mentre si dedicavano alle loro occupazioni quotidiane, sono ora inviati come apostoli e predicatori. Di nuovo ricorre il numero che richiama le tribù di Israele; il gruppo che deve essere esempio della nuova discendenza del patriarca Giacobbe. Per questi fedelissimi del maestro è ora di fare pratica, di compiere ciò che Gesù finora ha fatto. Marco tesse questo brano e ci da un ritratto del missionario cristiano, descrivendo le caratteristiche tipiche di chi vuole divenire un seguace di Gesù. Questo modus di predicare e di portare il vangelo si ripercuote anche sulla vita di ogni giorno costituendo una vera e propria regola distintiva della comunità: sobrietà, povertà e radicalità. Verrebbe da pensare che Marco dipinga Gesù e i suoi seguaci come dei cinici, nel senso di adepti alla filosofia omonima, nata in Grecia nel V-IV secolo a.C. Questo movimento prevedeva uno stile di vita molto spartano, rigido e costituito dal non avere una fissa dimora, come cani randagi (cinico viene proprio dal termine cane), in critica continua contro la civiltà e la società, concentrati sul vivere alla giornata, lontani da ogni costrutto e schema mondano. Nessuna etichetta, nessun vincolo alla mentalità della maggioranza. I fondatori di questo movimento furono Diogene di Sinope (404-323 a.C.) e Cratete di Tebe (330 a.C), di stampo socratico, incentrato sul rifiuto delle passioni, delle gioie e dei desideri umani, esaltando la virtù morale, la rigida etica della natura, beffandosi degli usi addomesticati del mondo civile (contrapposto appunta alla figura del randagio). 
Questi "trasgressivi" avevano molti punti in comune con la descrizione che Marco fa degli apostoli, degli inviati del Cristo: entrambi i gruppi hanno una vita itinerante, sono muniti di bastone e di mantello come compagni di viaggio, vivono di ciò che trovano lungo il cammino, rifiutano il possesso dei beni superflui e del potere, disdegnando il modo di vivere dei benestanti, accomodante e servile. In molti hanno identificato Gesù in questa categoria di filosofo cinico (nella Galilea del tempo, degli influssi di questa filosofia si potevano ritrovare in alcune comunità, soprattutto nella Decapoli, fortemente ellenizzata).  Tuttavia, si può far risalire le prescrizioni date ai discepoli e ai missionari cristiani più semplicemente alla tradizione profetica di Israele. I simboli che contraddistinguono un seguace del Cristo sono radicati nella tradizione degli uomini di Dio. Le indicazioni del bastone e dei sandali richiamano l'abbigliamento del popolo in partenza dall'Egitto nel libro dell' Esodo (il bastone poi è simbolo del potere nell'Antico testamento, nella mani di Mosè e d'Aronne (Es 4,20; 7,9-20)), quando gli Israeliti erano pronti a fronteggiare un lungo cammino nel deserto, per raggiungere la terra promessa. La fuga avvenne in fretta, al punto da non poter  portare due mantelli e avere una scorta, lasciando tutte le ricchezze dietro di sé, perché di troppo e causa di appesantimento, abbandonando la propria casa in cerca di un luogo in cui essere pienamente liberi. Gesù invia i suoi fedeli alla missione partendo solo con ciò che è essenziale, solo con i simboli che richiamano la protezione di Dio. Tutto quello che è superfluo, non è degno di essere portato con sé, anzi è un'ostacolo per l'obbiettivo reale: il regno di Dio. Mentre i cinici ambivano a raggiungere uno stato di impassibilità mediante una forma di ascesi, che inevitabilmente porta ad allontanarsi dalla società civile, gli apostoli vanno tra la gente, non hanno nulla per vivere e puntano tutto sulla provvidenza di chi incontreranno lungo la strada. Non hanno denaro, ne hanno una sacca per raccogliere l' elemosina, possono portare con loro solo quello che basta per il sostentamento, come la manna nel deserto no si raccoglie per più di un giorno (Es 16, 14-18). Non si tratta di vivere in una città o in un altra, in patria o all'estero, dove ti porta la vita, ma di sentirsi inviati, di passaggio nelle case, in continua ricerca di ospitalità, ma senza mai avere un luogo stabile in cui accasarsi (la "Didachè" opera del I sec d.C. riporta come due giorni sia il massimo tempo di permanenza come ospite (Did 11,4)). Non c'è nessun luogo sulla terra in cui l'uomo si possa sentire pienamente a casa. 

I discepoli seguono Gesù, come un nuovo Israele nel deserto, in cammino verso la terra promessa, che è il regno di Dio. Non si avanza solo con le proprie forze ma col bastone, segno della potenza divina, coperti dal mantello che è scudo impenetrabile; grazie a questi si combatte il male nel mondo. Ogni sosta è un incontro, che può portare gioia e riconoscenza da parte di chi accoglie la novella del Vangelo, ma anche rifiuto e morte, come ricorda l'episodio del Battista. La vita è in continuo rischio, sempre messa in gioco. Un cammino instabile, perché la meta non è in nessun luogo, se non nel regno di Dio; una sequela perfetta del maestro, in lotta continua contro il demonio e le potenze del male che affliggono l'uomo. Davanti al rifiuto, il gesto di scrollare la terra dai piedi ricorda la purificazione della suola che gli ebrei compivano rientrando in Israele di ritorno da terra pagana. La predicazione del regno può essere respinta, anche osteggiata e l'atteggiamento da tenere non è di opposizione violenta o di accanimento insensato davanti a tale durezza. Un dono è tale anche se non viene accettato e non può essere imposto.

Con una sottile ironia, Marco sembra strizzare l'occhio ai cinici, coloro che testardamente e stoicamente, non si vogliono conformare al mondo, ma la tempo stesso condanna chi, davanti ad ogni autorità, storce il naso. Il Cristo non è un cinico, ma fedele in ogni aspetto alla provvidenza di Dio che guida il mondo. 
Difatti, Gesù presuppone la fede nel Padre e in lui perché la vita delle persone possa essere liberata; i discepoli vivono nella ferma fiducia che il Signore li guida e non li abbandona nel cammino pieno di insidie, che il suo bastone è scettro di potere più efficace di quello dei sovrani che banchettano nei grandi saloni.  Dio può salvare persino dalla morte chi ripone in Lui tutta la sua vita come un figlio amato, ma non può sfiorare nemmeno un capello a chi vive come orfano nel mondo, randagio e in rivolta contro tutto e tutti. I cinici fuggono tutte le passioni, il modo di vivere della società del tempo, Gesù chiede di essere disposti ad andare incontro alla gente, anche a rischio di essere inchiodati in croce, fiduciosi che Dio non abbandona i suoi figli, nemmeno nei momenti più oscuri della vita. 

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