Dove tutti ti conoscono (Mc 6,1-6)
Il Vangelo di Marco
Il cammino del discepolo
Dove tutti ti conoscono (Mc 6,1-6)
Gesù è la promessa di Dio che si fa reale, carne concreta, compagno di viaggio e maestro. La sua predicazione raccoglie discepoli, sconvolge coloro che lo ascoltano e lo incontrano. Lungo il mare insegna e fa conoscere il regno di Dio alle genti. Davanti al male del demonio e delle forze del male che occupano il palcoscenico del mondo, nella dualità del regni terreno e di quello celeste, Gesù si erge come colui che salva gli uomini e svela l'inganno, rovescia la mentalità del mondo. Il vangelo sconvolge le certezze e le priorità: non solo ciò che vediamo è la realtà nella sua totalità, il regno di Dio giace nascosto in sottofondo. Il cielo si apre di nuovo, i malati guariscono, i demoni e la malvagità si piega al suo potere, persino la tempesta si placa. Gesù però non è un personaggio Marvel, non compie magie o va in giro sfoggiare guarigioni a piacere, a chi sì, a chi no (a meno che non si voglia, per proprio diletto, leggere il testo biblico letteralmente). Ciò che accomuna gli ultimi miracoli avvenuti per mano di Gesù è la fede, la convinzione che Lui può sconvolgere la realtà, distruggendo ogni canone e preconcetto.
Senza fede, Gesù non può fare nulla, né per lui, né per gli altri, solo la fede nel Padre può portare la salvezza tramite Gesù. Questo punto è di scandalo per chi crede: come può Dio non poter fare nulla? Che Dio è quello che permette all'uomo di soffrire se può salvarlo? Come fa a permettere il male, se potrebbe evitarlo? L'uomo compie un giudizio avventato, come quello dato su Gesù: poiché ciò che ci appare ci sembra assurdo, Dio non può esiste. Non riusciamo a credere che ciò che vediamo dipenda da come lo guardiamo. Non riusciamo a vedere così il bene oltre il male, giudichiamo con il nostro filtro, cataloghiamo in etichette. Tutti sogniamo di andare a lavorare e vivere in una grande città dove nessuno ci conosce, dove possiamo essere liberi di esprimerci senza pregiudizi, inutile negarlo.
Proprio a Nazareth, luogo dove è nato e probabilmente cresciuto, sono compiuto pochissimi miracoli, evidenziando l'imbarazzante impotenza di Gesù. Tutti lo conoscono, conoscono la madre, Maria, i fratelli, lo hanno visto crescere, mangiare, giocare, lavorare, forse anche andare al bagno. Proprio come i suoi parenti però, ecco un rifiuto. Nessuno è profeta in patria, dice il detto sapienziale. Troviamo il rifiuto dei propri concittadini anche in alcuni paralleli di testi ellenisti , nella "Vita di Apollonio di Tiana" di Filostrato e nei "Discorsi" di Dione Crisostomo, ma ovviamente il riferimento più evidente è ai profeti dell'Antico Testamento che non sono stati accolti dal popolo e che non sono riusciti ad evitare la rovina del paese (Ger 35, 15; Ez 2,5; Dn 9,6.10). Ovviamente, l'interesse dello scrittore non è quello di dire che Nazareth ha rifiutato e ignorato il messia (il paesino era poco più di un agglomerato di case). Il brano nella storia è stato utilizzato in senso più ampio per sottolineare come i primi a non cogliere il messia siano stati proprio gli appartenenti del popolo eletto, in chiave antigiudaica. Tuttavia, aldilà di questa sfortunata interpretazione del brano, non possiamo cogliere la forza critica ai primi cristiani. Nazareth e i parenti di Gesù lo hanno rifiutato, mentre un mentecatto che vive tra i porci in terra pagana lo ha accolto come maestro.
Su questo brano ci si è interrogato molto relativamente a se i fratelli e le sorelle di Gesù fossero realmente figli di Maria, o se siano figli di un matrimonio precedente di Giuseppe. A Marco la questione non tange per nulla. Non gli importa affatto, presenta un Gesù terreno, non mistico spirituale (come quello gnostico), nato da una donna, che può avere anche altri figli ovviamente, che ha fatto lavori manuali, che i suoi conoscevano bene, o meglio credevano così. Pensavano di sapere di chi fosse figlio, che fossero i suoi parenti, ma ora restano sconcertati; sembrano quasi offenderlo quando lo identificano con il nome della madre (di norma si usava identificare la discendenza per mezzo del padre). Tuttavia, il riferimento al padre è volutamente celato, così come in Mc 3,31 non viene incluso nella concezione di famiglia di Gesù. Infatti, aldilà della nostra appartenenza di sangue ben specifica, tutti siamo figli dello stesso Padre. In tal senso la Chiesa è composta da coloro che sono fratelli in Cristo, come figli di Dio.
Il senso del racconto è quello di rimarcare come i più fedeli e vicini a Gesù siano quelli più ciechi, accecati dal preconcetto che hanno su di lui. I discepoli, davanti alla fede dell'emorroissa, non comprendono il gesto della donna, non credono che la figlia di Giairo possa salvarsi, non riescono a compiere la traversata del lago. La Chiesa, vera famiglia di Cristo, i fratelli e sorelle di Gesù, sono i primi che mancano di fede. Come può un credente essere tale senza fede? Lo renderà tale aderire a celebrazioni particolari, eseguire rituali specifici, possedere una tessera di appartenenza o fare parte di un gruppo/setta di pochi intimi? "Non avete ancora fede?". Questa la domanda che Gesù pone ai suoi fedelissimi. La fede rende cristiani, fonda la dottrina, guida la morale e crea unione. Il processo contrario porta alla chiusura, dell'incomprensione e genera morte, come quella di un innocente in croce; alla fine, sono proprio i cristiani a inchiodare il maestro al legno maledetto, ad abbandonarlo fuggendo via terrorizzati, perché seguire Gesù costa troppo; donare la propria vita. Il cristianesimo in questo deve creare scandalo: un Dio che permette il male, che passa per le vie più improbabili, nella guerra, nell'incomprensione, nel rifiuto. I primi discepoli hanno sperimentato tutto ciò, vedendo Gerusalemme bruciare nel 70 d.C. ad opera dei romani, venendo perseguitati a causa della loro fede, presentando un Dio che muore in croce come un comune criminale. La loro fede però è cresciuta in questo percorso: nonostante l'apparente assurdità del mondo che vivevano, hanno creduto e sperato nell'impossibile. Nella vita si può vivere senza credere se non in quello che si vede o che si ritiene vero, senza pretendere che qualcosa di imprevisto sconvolga la nostra mentalità, oppure pensare che c'é qualcosa che ci sfugge e sorprenderci di come ciò che è ritenuto ordinario si trasformi in un miracolo straordinario.
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