"Date voi stessi da mangiare" (Mc 6,30-44; 8,1-10)

 

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

"Date voi stessi da mangiare" (Mc 6,30-44; 8,1-10)

I discepoli tornano dalla missione vittoriosi: il potere del male si sottomette ai loro piedi. Gesù ha dato loro l'autorità, con il suo insegnamento e il dono dello spirito divino, per sconfiggere i demoni e curare gli infermi. In questo momento di gioia, inquinato dalla notizia della morte del Battista, Gesù decide di dare un momento di riposo ai discepoli, di portarli lontani, in disparte in un luogo deserto, per ristorarsi. La frenetica attività a cui il maestro li ha inviati ha comportato una enorme perdita di energie ed ora la stanchezza si fa sentire. Gesù prende con se i discepoli e con la barca si recano in un luogo appartato. Ma le folle non si fanno sfuggire nulla e li seguono via terra fino al luogo predestinato. Una folla oceanica che ci viene detta di 5000 uomini (senza contare donne e bambini, secondo il costume dell'epoca). Sembra non essere possibile sottrarsi a tutti questi seguaci del Cristo, che vedendoli così bisognosi di seguirlo, si commuove nel vederli e continua ad insegnare loro. I discepoli, visto l'avvicinarsi della sera, invitano Gesù a congedare la folla e farli tornare a casa, così che possano tornare e mangiare. Qui il maestro da un ordine folle ai suoi: date voi loro da mangiare. La risposta dei discepoli è comprensibile, in quanto ci vorrebbero circa 200 denari di pane, che considerando che al paga giornaliera di un manovale era di un denaro, è una cifra ciclopica. I poveretti hanno solo 5 pani e due pesci, una miseria per la folla oceanica di fronte a loro. Proprio in questa circostanza avviene il miracolo: Gesù, fatti disporre gli uomini in gruppi ben distribuiti di 50 e 100 persone, dà il pane ed i pesci ai discepoli perché li distribuiscano e questi bastano per tutti i presenti. Spezzandolo e dividendoli questi non si esauriscono mai ed addirittura creano un avanzo di 12 ceste di pani. 

Ovviamente potremmo leggere il brano come fanno alcuni, come un raduno militare delle forza armate del Cristo o come uno show di magia ben riuscito. Non penso che questa sia la lettura giusta. Lo stesso miracolo ha precedenti nel mondo pagano e soprattutto nell'antico testamento nella figura di Eliseo (2 Re 4, 42-44), che sfama 100 uomini con 20 pani. Se Marco riprende questo brano ci dovrà essere una buona ragione. Il prato e luogo deserto in cui Gesù conduce i discepoli è il luogo del riposo, richiama alla mente la terra promessa, il luogo di incontro con il Signore e il banchetto messianico che inaugura e festeggia il regno di Dio (notare la forte contrapposizione con il banchetto fatto da Erode). I discepoli accedono a questo luogo dopo essere stati mandati in missione, cioè dopo essersi conformati alla vita e alla missione del maestro. Questo li conduce, sempre mediante lo strumento chiave della barca, ossia la Chiesa, verso la terra del riposo e della vita eterna. Le folle non possono che seguire a piedi, cercando anche loro di giungere in questo luogo di salvezza e trovare pace. Quando Gesù li vede arrivare non può far altro che constatare come siano bisognosi di Lui e del Vangelo, povere pecore senza pastore (Zc 11,17). Al giungere della sera, i discepoli mostrano ancora la loro ottusità: vorrebbero infatti mandarli via, allontanarli. Nell'ottica della comunità cristiana però, i fratelli non vanno rimandati a casa loro ma vanno accolti nella propria e sono loro stessi a dover dare da mangiare ai poveretti. L'invito sembra sottendere un duplice significato: procurare il cibo per gli invitati e dare il proprio corpo come sostentamento, come farà Gesù con il suo sacrificio nell'ultima cena. Il pane non solo riporta alla mente la mensa eucaristica e il banchetto escatologico finale ( in cui i due pesci possono essere interpretati come le bestie marine, sovrani del caos primordiale, sconfitti e resi pietanza in 4 Esd 6,25; 2 Baruc 29,4 come ) ma soprattutto la parola di Dio, tanto che in molte interpretazioni i 5 pani sono a simbolo dei libri della Torah, dell'insegnamento di Mosè (il numero 5 ritorna anche nel numero di persone sfamate e dell'unità con cui sono divisi i gruppi). Per di più, ad avanzare sono proprio 12 ceste, come il numero delle tribù di Israele, a significare che la parola di Dio giunge a tutto il popolo nella sua interezza.
I discepoli sono chiamati a seguire il maestro nella sua missione itinerante di predicazione ma soprattutto a portare la parola di Dio e la salvezza a tutto il popolo di Israele, invitandoli al banchetto eucaristico. Da notare come il brano sia ripetuto poco dopo nel vangelo, in maniera praticamente speculare, con la sola differenza del numero di pani (questa volta 7, per alcuni a richiamare il numero delle 70 nazioni pagane, dei comandamenti dati a Noè per tutti gli uomini (Gen 9,4-7) o il numero delle chiese citate in Apocalisse 2-3), del numero di persone che vengono sfamate, ben 4000, che potrebbe riferirsi ai quattro punti cardinali della terra e delle "sporte" in avanzo, ancora 7.

Al di là della speculazione che può essere fatta sui numeri, il senso profondo del racconto si può trovare nel gesto compiuto dai discepoli. Essere cristiani vuol dire essere portatori di pane, di vita, a chi sta morendo di fame, guidarli al riposo dalla fatica e della sofferenza, invitandoli al banchetto in onore del regno di Dio. Questo comporta il rischio di dover donare tutte le proprie forze per l'obbiettivo, di donare se stessi come cibo. Quell'invito rivolto ai discepoli, così carico di significato, di dare loro stessi da mangiare, annuncia il destino terribile che toccherà al maestro. Il mondo muore di fame, è bisognoso di speranza, di avere una luce a cui guardare nelle tenebre che lo avvolgono. Gesù è il riferimento in cui trovare la risposta a questa fame che logora l'uomo e lo fa morire, donando il suo corpo e il suo spirito. Il cristiano è colui che porta il pane, che mai si esaurisce, a chi ne ha necessità, sempre sapendo che non lo fa con le proprie forze, essendo impossibile trovare quella cifra esorbitante dei 200 denari, ma donando tutto quello che è. Certo, sono solo 5 pani e due pesciolini, ma sono l'essenziale. Forse il dramma che viviamo oggi è che abbiamo i 200 denari,  a volte anche in esubero, e li doniamo sul piatto con un  certo senso di soddisfazione, ma non doniamo noi stessi, l'essenziale, un gesto di vicinanza e di umanità, che lenisca le ferite del mondo. Forse è meglio non immergersi nel marciume del mondo e basta un bonifico a distanza per essere utili, però come cantava Fabrizio De André "Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori". Magari provare a sporcarsi le mani con questo mondo che sembra destinato allo scarico è l'unico vero modo per portare la vita e la speranza all'umanità, fiduciosi che Dio, da 5 miseri pani, può ricavare un'abbondanza infinita.

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