La paura della tempesta (Mc 4,35-42)

 

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

La paura di affondare  (Mc 4,35-42)

Per comprendere il prossimo passaggio del Vangelo di Marco, è necessario aprire una parentesi su di un libro presente nell' Antico Testamento, per avere le chiavi dei lettura corrette. Il libro in questione è quello che prende il nome del profeta Giona, un personaggio vissuto ai tempi della caduta del regno del Nord, Israele, con capitale Samaria, dopo che alla morte di Salomone, ci fu la scissione dei due regni: al nord Israele e al Sud Giuda, con capitale Gerusalemme. Nel 721 a. C,, sotto il  re Osea (2 Re 10), ecco che l'impero Assiro, la cui capitale era l'immensa città di Ninive, avanza sulla Palestina e distrugge il regno del Nord e deporta la popolazione di Samaria. Lo stesso scenario si ripeterà anche per il regno del sud di Giuda, questa volta per mano dei babilonesi ( che nel 612 a.C. avevano distrutto Ninive e rimosso dal potere gli Assiri)  guidati da Nabucodonosor, che nel 587 a. C. distruggerà Gerusalemme e deporterà il re Sedechia, figlio di Giosia, ai tempi del profeta Geremia. Come cade un impero, ecco che ne sorge un altro e così nel 538 a.C. al posto di Babilonia fa la comparsa il colosso Persiano, guidato dal re Ciro, che concede agli ebrei deportati di fare ritorno in patria e ricostruire la città ed il tempio, sotto la guida del sacerdote Esdra e del funzionario Neemia, come riportato nei rispettivi libri. In questo momento storico di restaurazione, vengono redatte le versioni finali della Torah e il culto è centralizzato intorno al tempio di Gerusalemme. Il popolo però è diviso tra chi viene dalla diaspora, ha moglie straniera e costumi ormai molto più simili a quelli dei pagani che aderenti alla religione classica. Chi avesse consorte e figli stranieri, doveva ripudiarli, che era pagano non poteva essere ammesso nella nuova comunità. Questo radicalismo aveva la funzione di restaurare quell'unità nazionale che a causa dell'eterogeneità del popolo che si stava ricostituendo poteva essere fortemente instabile. La linea dura venne applicata senza troppa moderazione. Giona è la caricatura dell'uomo religioso intransigente del tempo. Il libro rilegge il passato alla luce del presente. Dio manda Giona a Ninive perché predichi la conversione del popolo Assiro. Viene quindi sottolineata il tema della missione: tu che hai un rapporto così vero e diretto con Dio, devi essere testimone ed esempio per gli altri popoli, che vivono in condizione di peccato. Giona però è intransigente, non vuole l'annessione del pagano nella sua cerchia, così invece di andare a Ninive, si imbarca per giungere a Tarsis, una città non ben localizzata ma che probabilmente vuole indicare il luogo diametralmente opposto rispetto alla capitale Assira. Durante il viaggio, Dio scatena una tempesta e mentre Giona dorme tranquillo nel luogo più basso della nave, tutti cercano di salvarsi la vita. Tutti pregano ma nessun Dio pagano invocato riesce ad intercedere per loro. Chiamano Giona, uomo di Israele, scoprono che la colpa del male scatenato è la sua e il profeta si sacrifica per salvarli. La tempesta si placa ma Dio non vuole che Giona muoia. Nel ventre di un grosso pesce che lo ha ingoiato, Giona chiede perdono e ottiene la salvezza da Dio che lo invia nuovamente a Ninive. La cosa più buffa del testo è che alla fin, con la sua predicazione, Giona salva dalla rovina Ninive ma si sente offeso. Infatti gli Assiri sono i nemici, coloro che hanno deportato Israele e, per gli occhi dei lettori moderni, non può non rievocare alla mente la figura dei babilonesi e dei persiani che ne prenderanno il posto.  Come può Dio perdonare tale gente? Il profeta non accetta il suo ruolo, non vuole la salvezza dello straniero. Probabilmente sarebbe stato molto più felice ad averli visti nel terrore della rovina e avergli potuto rinfacciare che li aveva avvertiti. Dio gli risponde a tono (Giona 4,10-11)

"Tu hai avuto compassione per la pianta per cui non hai faticato né hai fatto crescere, e che in una notte è cresciuta e in una notte è perita. E non dovrei io aver compassione di Ninive, la grande città, nella quale ci sono centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e una grande quantità di bestiame?."

 Tornando al Vangelo, abbiamo una scena che ci risulta ora molto familiare. Gesù invia i discepoli all'altra riva del lago (eravamo rimasti con Gesù che insegnava alle folle posto su di una barca in mezzo al lago di Tiberiade). Non c'è solo la barca di Gesù, ma altri che erano a riva sembrano seguirli nel tragitto verso Este, nella terra della Decapoli, territorio a forte connotazione pagana e con una cultura predominante di matrice ellenistica. Quindi, la scena è quella di Gesù, che invia i discepoli in terra pagana, come Giona che è inviato a Ninive. Siamo al calare del sole, il momento delle tenebre , dove le forze del male si fanno presenti e, durante il tragitto, ecco che arriva un forte vento di tempesta che colpisce la barca. Siamo proprio nella situazione descritta prima per il libro di Giona. Ad aggiungere un particolare aggiuntivo ecco che Gesù si mette a dormire a poppa, sul cuscino. La tragedia è imminente e tutti vanno nel panico. Cercano di reggere la barca, ma le onde stanno per colarli a picco. I discepoli corrono dal maestro e lo svegliano. Come può dormire in un momento come questo? Stiamo morendo e lui se ne frega? Gesù mostra la sua tranquillità in mezzo alla tempesta, a tal punto da dormire un sonno tranquillo e come se non bastasse rimprovera anche i discepoli, accusandoli di avere poca fede. In un attimo, Gesù comanda alle forze della natura di placarsi ed ecco che torna la bonaccia. 

I discepoli rimangono sbalorditi. Gesù ha pieno controllo sulle forze del mare e del vento. La notte, il caos naturale sono tutti elementi che rappresentano il male e le forze oscure, che in questo momento osteggiano la missione dei discepoli che sono inviati. La tempesta non è altro che il timore che attanaglia il loro cuore, le resistenze che gli impediscono di essere missionari. Lo stesso rifiuto che muove Giona verso Tarsis. Rinnegando la sua missione, Giona avrebbe lasciato morire i marinai con lui a bordo e il popolo di Ninive, Gesù avrebbe condannato i discepoli e la nascente Chiesa (le altre barche), osteggiata e perseguitata dal potere romano. Entrambi si sacrificano per la salvezza degli uomini e restano avvolti nella morte per tre giorni (Giona nel pesce, Gesù nel sepolcro).  Portare la parola di Dio è salvezza, non farlo e non assumersi la propria responsabilità e condannare chi si è perso. La missione, come visto nei precedenti versetti, è l'obbiettivo fondamentale, il vangelo non può essere taciuto. La domanda disperata dei discepoli di fronte alla paura, riflette quella che i marinai fanno a Giona: "Non ti importa che siamo perduti?". L'indifferenza è la più grande delle tragedie, il peccato più grave che commettiamo ogni giorno.

La difficoltà della missione, l'esporsi verso chi ha bisogno, ci spaventa troppo al punto da farci preferire l' allontanarci da Dio. Nel farlo, spesso ci rinchiudiamo, pensando di essergli più vicino (facciamo gruppetto e chi sta fuori si arrangi, non è bene che vengano a sconvolgere il nostro quieto vivere). Così come la rinascente Gerusalemme del post esilio teme chi è diverso e non si prende il rischio di integrarlo e confrontarsi con loro, allo stesso i discepoli fanno fatica a traversare il lago, pieno di insidie. 

I rischi da cui questo brano vuole mettere in guardia sono principalmente due: il primo è di temere di poter perdere la vita nella missione. Se si agisce nel bene, Dio non ci abbandona. Giona finisce per gettarsi nel ventre del pesce, a Gesù toccherà la croce, ma solo così entrerà nella gloria immortale ed eterna. Il secondo aspetto è di non considerare la fede come privilegio più che come dono. Se Dio ti ha scelto, concedendoti una rivelazione, un talento, una luce speciale, non è perché tu la metta sotto il moggio, ma perché la possa far splendere, come un faro nella notte, quando la tempesta imperversa. La fede placa la furia del male e ci guida al porto della salvezza.

I discepoli, come Giona, si oppongono al volere di Dio, che non viene a chiamare eletti o chi dice subito di sì, ma a recuperare chi è perso. Il medico cura i malati, diceva Gesù in Mc 2,17, deve andare da chi ha necessità, non da chi è sano. Giona sa che Dio perdonerà la gente di Ninive, sa che la sua parola potrà redimerli, ma preferisce tacere, non condividere il dono della fede con loro. I discepoli capiranno profondamente nel corso dell'opera e nel seguito della loro vita la difficoltà di essere missionari, di quanto si possa perdere in questa attività, ma vedranno anche come Dio possa rendere completa una vita che viene spesa totalmente, senza limitazioni.

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