La giusta visione del regno (Mc 4,21-34)

 Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

La giusta visione del regno  (Mc 4,21-34)

Il regno di Dio è ormai imminente, questo era il messaggio con cui Gesù aveva aperto il Vangelo di Marco. Non tutti però sembrano comprendere cosa dice il maestro. Se la rivelazione di Gesù è nascosta, non comprensibile, allora a che serve che sia venuto nel mondo? Molti sono i movimenti e culti misterici che affollano il contesto storico sociale in cui si muove Gesù, dai culti segreti egizi, a quelli di stampo iranico dello zoroastrismo. La rivelazione nascosta, accessibile a pochi eletti, permette di raggiungere una salvezza che agli altri è preclusa. Di certo uno dei movimenti più famosi di questa categoria era quello degli gnostici, che riconoscevano nella conoscenza l'unica fonte di salvezza, il sapere che il mondo sensibile intorno a noi è solo un illusione maligna, che c'è una realtà superiore a cui si giunge per un' intuizione personale ed elettiva. 

I versetti che leggiamo si scagliano contro questa concezione. Certo c'è una verità che sfugge all'uomo, quello che noi oggi sentiamo spesso dire essere il piano di Dio. Nei testi di Enoch e anche presso la comunità di Qumran, la storia che noi viviamo non si identifica con la realtà nella sua totalità, ma è solo  immagine del regno celeste di Dio, ancora imperfetta e da completare. Nelle tavole celesti, che Dio rivela a uomini prescelti (vedi Mosè che riportai comandi del Signore, dettati direttamente da Lui stesso) c'è scritto il Suo volere e il senso profondo dell'universo. Gesù, che era spesso Dio prima anche di Mosè o di Enoch, è la rivelazione in carne ed ossa di tale volontà. Marco viene a ribadire però che la luce della rivelazione divina non viene per essere nascosta e difficile da trovare, ma per divenire un faro che illumini tutte le genti. Una lampada che si mette nel moggio (recipiente utilizzato come unità di misura nel mondo antico) è destinata a spegnersi, o peggio a bruciare tale coperchio. Gesù viene a portare il suo messaggio a chi ha orecchie per comprendere, a chi sa misurare correttamente.

Nel libro apocrifo di 4 Esdra, 7,25 leggiamo: "Cose vuote per i vuoti, cose piene per i pieni". Solo chi ha lo sguardo buono, pieno di luce vede le altre fonti luminose. Se la tenebra prende possesso del tuo sguardo, nemmeno la più evidente delle rivelazioni può essere colta. La felicità per esempio diviene relativa, in base alla circostanza che viviamo. La luce che porta Gesù scaccia le tenebre e rende nitida la nostra percezione.   

 Le parole possono essere fraintese, il messaggio può essere mal interpretato, per questo i discepoli sono stati eletti: per testimoniare un mistero che loro stesso non comprendono fino in fondo, per evitare che ognuno si crei la sua verità, la tentazione più forte che ci potrebbe cogliere. 

La critica evangelica si rivolge a chi suppone di vedere una luce per un qualche privilegio, che quindi risulta nascosta e irraggiungibile a tutti gli esclusi da tale presente. L'uomo è cieco e vede solo ciò che desidera e reputa vero, ma la luce di Dio è accecante, il regno, la volontà del Padre, non può essere trattenuta ma esplode in un bagliore prorompente. Tutto questo è inevitabile, è più forte anche del destino, perché viene da un volere superiore.

Segue poi la parabola del seme, che paragona il regno al crescere di una pianta: il seminatore, gettata la semente, nelle giuste condizioni e nel giusto tempo, non deve fare nulla perché questa cresca e porta frutto. Certo, può concimare, sistemare il terreno, innaffiare e scacciare i corvi che vengono a rovinare il raccolto, ma non è tutto nelle sue mani. Ciò che deve nascere, lo farà, indipendentemente da quello che può fare l'uomo. Il senso della parabola è che il frutto del regno di Dio non dipende da iniziative umane. Certo pensiamo spesso che il mondo lo cambino i poteri e coloro che dominano. Non è così; il regno di Dio non è in mano a nessuno se non al Signore stesso, che lascia crescere o seccare le piantine. Per quanto possiamo sforzarci, nel bene o nel male, Dio ha sempre l'ultima parola. L'uomo può portare la guerra in un'era e vivere i due secoli successivi in pace, per poi dimenticarsi del passato e commettere nuovamente lo stesso lo stesso errore. Un regno può comandare mezzo mondo e poi collassare su sé stesso, lasciando dietro di sé una temporanea gloria.  Il tempo della mietitura arriverà e lì si giudicherà il raccolto e il frutto della semente. Non è una svolta radicale che opera l'uomo, ma che agisce per mezzo di e oltre le forze umane.  La storia può essere buia, il lieto fine potrebbe essere insperato nella condizione dell'uomo, piegato dal male. Come può esserci ancora del bene davanti a tutte le tragedie che vediamo, quando chi ha potere lo esercita solo per i propri interessi, opprimendo i poveri e gli ultimi?

La risposta è nel seme di senape. Insignificante, invisibile si può dire. Chi è Gesù rispetto al re Erode, o al procuratore Ponzio Pilato? Una nullità e di certo neanche paragonabile al divino Tiberio, imperatore di Roma. La storia però non è nella mano dei potenti. Ancora una volta, la misura con cui misuriamo è quella dello stolto. L'insignificante azione di Dio nei panni del Nazareno surclassa tutte le potenze terrene, capovolgendo ogni pronostico. La pianta, simbolo della potenze e della regalità (Dn 4,20-21; Ez 17,22-23), sotto cui si radunano tutte le bestie, cioè p popoli della terra, è ora interpretata come la pianticella della senape, che crede nell'orto, non più il maestoso cedro, che invece cade abbattuto dall'accetta della verità. Il paradosso del regno è che una piantina dell'orto acquisisce un'importanza molto maggiore di una sequoia. Tutti gli uccelli del cielo possono fare il nido tra i suoi rami (Dn 4, 9,18). Il divino e il celeste, il regno i Dio, scende e trova dimora nel mondo sensibile. L'albero della vita trova nuovamente terreno fertile per crescere  si entra in un nuovo Eden.

A chi sarà dato e ha chi non ha sarà tolto sta a significare questo ribaltamento inconcepibile: che vede solo ciò che non ha valore, non possiede nulla se non l'ombra di quella inutilità. Chi invece possiede l'essenziale, l'amore, la fede, desideri, umanità, volontà, non perderà nulla di ciò. La storia la fanno i potenti certo, e la fama resta per secoli, millenni. Tutto però può essere rimosso, eliminato, cancellato. Non esiste un tesoro o una gloria così grande da eliminare un tumore maligno che uccide, ad evitare che il tempo faccia il suo corso e che qualcuno prenda tutto ciò che ti appartiene; basta l'amore concreto di qualcuno che ti accompagna nella vita a rendere, anche se per un solo secondo, realmente piena la tua esistenza.



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