La casa divisa (Mc 3,20-35)

  Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

La casa divisa (Mc 3,20-35)

Nei versetti precedenti Gesù ha radunato un gruppo di discepoli, di seguaci fedeli che lo possano accompagnare nella sua missione. Il numero dodici richiama quello delle tribù di Israele ed apre ad uno scenario di riformazione autentica, in senso politico e religioso. Coloro che hanno seguito Gesù nella sua opera e nella sua vita terrena, formano una nuova alleanza da cui discenderà un nuovo popolo, una nuova esperienza di fede. 
L'elezione di questi personaggi non solo ha un valore simbolico ma anche un preciso fine: sono infatti questi gli uomini a cui Gesù affida la chiave di lettura del mistero del Regno, della sua predicazione che risulta lontana e complessa agli uomini. Sarà ai discepoli che il maestro affiderà la verità profonda, la conoscenza segreta del mistero di Dio. Un movimento eretico, nato proprio nell'ambito del primo cristianesimo era quello dello gnosticismo, basato sulla conoscenza di Dio mediante un ascesi che porta alla salvezza e l'acquisizione della consapevolezza del mistero che si cela dietro questo mondo. 
Ovviamente, questo sapere superiore arriva per mezzo di pratiche misteriche e rivelazioni celate a chi è fuori dalla setta e spinge ad una separazione netta rispetto agli altri, ritenuti inferiori e non meritevoli della salvezza. Questo pensiero sarà molto diffuso nel cristianesimo di stampo egizio, come testimoniano i testi di Nag Hammadi. I vangeli considerati canonici, di certo sono in contrasto con questa posizione e sarà ancora più evidente nei prossimi capitoli e nei versetti seguenti. 
La scena che dipinge Marco è ancora quella della casa, un simbolo che ora più che mai rappresenta il luogo d' ascolto della parola di Gesù e d' aderenza al movimento del Cristo. La folla fa ressa davanti alla porta dell'abitazione, tutti lo pressano e cercano di farsi strada verso il Salvatore, a tal punto che l'autore ci dice che "non potevano nemmeno prendere cibo". Questa connotazione fortemente negativa mette in risalto una critica verso la frenesia delle persone che travolgono Gesù e i suoi. Proprio in questo momento di affermazione sociale, ecco entrare in scena anche i suoi familiari. Il testo ci riferisce che i suoi parenti più stretti, forse anche qualche conoscente da Nazareth, prendono l'iniziativa e si incamminano per raggiungere il loro congiunto. Potremmo immaginarci una Maria, madre di Gesù, amorevole, che va anch'essa a lodare il figlio, riconoscendone la persona (d'altronde è stata lei a partorirlo e lo dovrebbe conoscere a fondo). Tuttavia, la motivazione che ci viene detta essere causa del moto di Maria è legata alla paura e alla negazione. Persino colei che gli ha dato la vita, ora non sembra comprendere e supportare il frutto del suo seno. Una reazione sicuramente naturale, visto che Gesù ha abbandonato la casa, lasciando madre e fratelli, per intraprendere un percorso di enorme difficoltà, che lo porta a non avere neppure un momento per mangiare, ad essere sempre bersagliato dalle folle e ad ergersi contro i farisei e i dottori della legge. L'interesse principale di Marco però non sta nel dipingere Maria come donna senza peccato, immacolata e senza paura, né come discepola che non comprende e che osteggia la missione del figlio, ma nel mettere in guardia il lettore da un pericolo reale: nemmeno coloro che sono cresciuti con Gesù, che addirittura hanno un legame di sangue con lui, lo hanno compreso fino in fondo, o almeno non subito e non senza passare per il rifiuto della radicalità del suo insegnamento. Il Cristo è un separato in casa, a tal punto che i suoi vanno a prenderlo perché lo reputano un folle, un pazzo che non ha idea di cosa stia facendo.  Il rischio enorme a cui un discepolo è esposto è duplice: da un lato, quello di fraintendere il maestro, dall'altro quello di sentirsi a lui vicino come nessun altro e sicuro di agire nel bene, ignaro di essere in procinto di prendere una cantonata colossale. Essere discepolo non vuol dire necessariamente essere un buon cristiano, cioè un vero seguace di Gesù. D'altro canto i farisei o lo stesso Giuda testimoniano questa scomoda verità. 
Il brano qui presenta una inserzione, incastonata nei versetti appena visti e nell'epilogo della vicenda: i familiari di Gesù arrivano ma non entrano nella casa. Sono fuori, lontani dalla comunità di chi realmente è cristiano, e non perché non conoscano Gesù, ma perché non lo comprendono. Peggio ancora però è la risposta che dà loro per mezzo dei discepoli che lo vanno a chiamare. Gesù disconosce i suoi parenti, affermando che sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle sono coloro che gli stanno seduti intorno in ascolto e che fanno la volontà del Padre, che invece è unico per tutti. Non quelli che corrono, che gli si gettano addosso, che lo inseguono, che lo deridono, che lo adulano, che amano l'idea di Gesù (notare che in questo gruppo ricadono anche i dodici), ma coloro che seduti intorno al maestro accolgono intensamente e mettono in pratica la parola di Dio. Queste parole sono una sassata per coloro che in nome del Signore fanno molte cose e si arrogantano fantomatici diritti in quanto cristiani e in stretto rapporto con il Padre. Il vero legame si forma nell'ascolto e nel servizio autentico alla parola. Con questa immagine Gesù demolisce letteralmente la figura della casa domestica e l'istituzione patriarcale e gerarchica del tempo, ma ancora tipica dei giorni nostri. Non è l'istituzione che fonda il legame ma viceversa l'esperienza e la vicinanza reciproca generano un rapporto che poi la norma consolida.

La casa è divisa, proprio come nella parabola che viene raccontata nel trafiletto dei vv 22-30.  Come di consueto ecco giungere i maestri della legge, da Gerusalemme, al fine di far cadere in fallo il Maestro (altro esempio di opposizione alla parola). Accusano Gesù di essere posseduto da Belzebùl, il signore dei demoni. Nel giudaismo di stampo sadduceo e farisaico, le figure degli spiriti maligni e della demonologia non erano particolarmente diffuse, ma in molti movimenti del periodo del secondo tempio, la credenza in forze sovraumane, che tormentassero gli uomini, era invece piuttosto forte (vedi la letteratura enochica, il "Testamento di Salomone" o alcuni testi presenti a Qumran, come il "Libro dei Giubilei"). L'essere soggetti a queste entità era un crimine terribile. Addirittura, nel Talmud Babilonese, la pena per aver adoperato la stregoneria è di essere messo a morte per lapidazione ( Sanhedrin 43a, dove un certo Yeshu è messo a morte alla vigilia di Pasqua, per molti un riferimento a Gesù). Gesù è quindi accusato di essere Satana, il signore dei demoni, e il nome che gli viene attribuito è quello di Belzebùb, letteralmente "Signore delle mosche", una probabile storpiatura dell'epiteto utilizzato per il dio cananeo "Il Principe Baal" (Baʿal zebul). Questa accusa è molto grave, in quanto come detto potrebbe portare velocemente il nazareno alla morte. Ma ancora più grave secondo Gesù è l'accusa e la bestemmia che hanno pronunciato i farisei. Davanti a tali insinuazioni, il Signore risponde con un detto sapienziale. Se una casa è divisa in sé, come può rimanere in piedi? Se quindi Gesù è il capo dei demoni, perché li dovrebbe combattere e scacciare? Ancor di più, se Satana combatte le sue armate, allora la sua fine è vicina.

Qui il demonio è raffigurato come l'uomo forte, che domina la casa. Nell'immagine che dipinge Gesù, fondamentale è la battaglia in corso nel cuore degli uomini. Mentre gli spiriti immondi prendono dimora nell'umanità debole e fragile, che viene sopraffatta da colui che è troppo forte per resistergli (tentazioni, vizi, paure), ecco che giunge chi è ancora più forte, chi ha il potere di legare Satana e incatenarlo, liberando la casa, cioè lo Spirito dell'uomo (stessa espressione è presente nel "Libro dei Vigilanti", nel Pentateuco Enochico, dove gli angeli caduti, simbolo del male venuto nel mondo, sono legati e segregati nel buio).

La colpa più grande da imputare ai farisei, che si ricollega anche ai versetti che fanno da contorno a questa disputa, dove i protagonisti erano i membri della famiglia di Gesù, è quella di scambiare il bene con il male, lo spirito di Dio per quello di Satana. 
L'uomo, in balia delle sue debolezze, dei suoi demoni e della sua finitezza è fatto schiavo dal male che lo logora e lo condanna. Davanti al bene, che libera e scardina la fortezza del nostro cuore piagato dal male, la reazione è di contrasto, in quanto reputiamo di essere sani e una modifica al nostro stato significherebbe una perdita. A Gesù non importa che lui sia chiamato maledetto, stregone, folle, che la gente lo derida o lo perseguiti. Il mondo è stato pieno di persone che hanno dato la propria vita per il bene, infischiandosene se questo inevitabilmente avrebbe significato un sacrificio enorme.  Chi fa il male può essere redento, chi bestemmia e rifiuta Dio, persino la parola di Gesù, potrà trovare misericordia in Lui. Persino Maria, sua madre, capirà di aver bestemmiato contro il figlio, ostacolandolo (o meglio contro l'opera che lui compiva per volere del Padre) . Quello che però non può essere perdonato è l'essere ciechi al bene, rifiutarlo quando lo si vede all'opera, volerlo distruggere, cercare con ogni forza di negarlo. 

Il messaggio è chiaro: Gesù opera nella luce, e le tenebre non sono sconfitte ma all'opera continuamente, in questa occasione nei panni dei farisei. Tuttavia, chi è vicino a Gesù non è esente dal rischio di essere cieco e finire fuori dalla casa, scambiando il bene per il male. La parola di Gesù è talmente dura da portare molti a voltare le spalle e a rifiutarla; la divisione è netta e necessaria, una scelta è richiesta e per primi ai discepoli e ai Dodici.

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