L'incontro con il lebbroso e l'inizio delle controversie (Mc 1, 1-45)
Il Vangelo di Marco
Il cammino del discepolo
L'incontro con il lebbroso e l'inizio delle controversie (Mc 1, 1-45)
Gesù continua la sua missione itinerante per la Galilea, al fine di portare avanti la sua missione: portare il vangelo a tutto il popolo di Israele e annunciare la salvezza che Dio concede loro. La sua fama è in continua crescita rendendolo sempre più ricercato e acclamato in Galilea e persino nella capitale della Giudea, Gerusalemme. Se però nei versetti precedenti è stato mostrato un Gesù ricercato da tutti, redentore, che viene a sconfiggere il male che affligge il mondo, ecco che Marco si prepara ad introdurre quelli che saranno gli antagonisti del Nazareno, che rifiuteranno questa visione salvifica del Signore.
Nel quadro che ci presenta Marco per introdurre questo tema di conflitto, ecco comparire sulla scena un lebbroso che si reca da Gesù dicendogli: “Se vuoi, puoi purificarmi.” Varie patologie della pelle venivano ricondotte alla parola “lebbra” ed era fortemente invalidante nel mondo antico e in particolare nella società in cui agisce e predica il Signore: in Levitico 11 e nei capitoli seguenti (in particolare Lev 13,45 – 14,32) sono descritte minuziosamente le norme sulla purità e sono riportate tutte le pratiche e le procedure necessarie affinché il malato possa essere considerato “purificato”. Fino a quel momento, in particolare per il lebbroso, la vita finisce ed inizia un incubo di solitudine ed emarginazione sociale. Il povero malato doveva vivere in isolamento, fuori dalla città e dai luoghi abitati, facendo allontanare da lui chiunque fosse nelle vicinanze, non solo presentandosi con un aspetto trasandato, al limite dell’umano (barba coperta, capo scoperto e vesti strappate, per non nascondere le tracce della sua condizione di maledetto) ma addirittura dovendo urlare “Immondo, immondo!”.
Ovviamente, l’unico modo di tornare nella società era quella di guarire e farsi ispezionare dai sacerdoti, che avrebbero attestato la misericordia di Dio operata verso il malcapitato. A quel punto, dopo una serie di rituali di purificazione, il povero malato avrebbe riavuto indietro la sua vita. Certo, la guarigione da tale piaga era comunque rimandata a Dio e a Lui soltanto.
Nel secondo libro dei Re (2 Re 5,10) viene narrato un episodio di guarigione di un lebbroso. Il comandante Naaman, agli ordini del re di Aram contrae la terribile piaga e, su consiglio di una schiava ebrea deportata, si reca in Samaria, con la speranza che il Dio di Israele, così grande e potente, possa salvarlo. Tuttavia, giunto alla corte del re, questo si straccia le vesti dicendo che solo Dio può guarire questo male e che è stupido e pretestuoso pensare che lui possa fare qualcosa. Qui entra però in gioco il profeta Eliseo, il quale venuto a sapere che il re ha cacciato malamente il poveretto, chiede che gli sia condotto, per dimostrare al comandante straniero che in Israele c’è ancora un profeta, cioè un uomo che parla ed agisce secondo la volontà di Dio. Chiaramente, il tono del discepolo di Elia è fortemente critico: certo solo Dio può compiere tale prodigio ma di certo il re non ha facoltà di intercedere, in quanto non ha la minima fede. La classe regnante aveva tentato di mettere a morte Elia e ora di conseguenza non vede di buon occhio neppure Eliseo. Sono re empi, stolti che si sono convertiti agli idoli.
Naaman giunge dal profeta il quale manda un messaggero e dice al malato di andare a bagnarsi sette volte nel Giordano. Il comandante degli Aramei, aspettandosi chissà quale gesto, rituale magico, rimane seccato e deluso: questo fantomatico profeta non lo ha nemmeno sfiorato con una mano! Risentito da questo trattamento, il lebbroso decide di ritirarsi ma è ricondotto alla ragione dai suoi compagni. La richiesta fatta dal profeta è semplicissima, cosa costa provare? Proprio obbedendo al comando di Eliseo, Naaman riacquista la salute e non solo: si converte al Dio di Israele, vista la potenza e la misericordia che gli ha mostrato, dimostrando che un comandante straniero ha più fede del re stesso.
Torniamo allora a Gesù. Davanti alla richiesta del lebbroso, sta scritto che il Signore prova compassione, anche se in alcuni manoscritti del V secolo è riportata una variane in cui si riporta un sentimento d’ira ed indignazione. Gesù viola la legge, tocca il lebbroso e lo purifica. Dopodiché lo caccia malamente, mandandolo ad eseguire i riti tradizionali di purificazione dai sacerdoti, perché sia di testimonianza per loro e intima al poveretto di non dire nulla di quanto accaduto.
Questo brano sembra non avere molto senso. Gesù viola la legge e poi chiede che venga rispettata. Inoltre, se la variante di Gesù adirato è più antica ed originale, perché mai e contro di chi questo sentimento? Verso la condizione del povero malato, trattato come un morto ed un reietto?
Se Gesù avesse voluto mostrare che lui è Dio, che può vincere la lebbra, avrebbe senso guarire l’uomo e mandarlo ai sacerdoti, ma non imporre il silenzio.
Il brano è molto complesso ma a mio avviso va letto nell’ottica dell’incomprensione verso Gesù e il suo operare.
Se infatti il lebbroso, una volta guarito, andando dai sacerdoti per farsi riammettere alla vita civile, avesse raccontato di come un uomo lo avesse guarito, mai sarebbe stato creduto e lo avrebbero accusato di qualche stregoneria. Il senso profondo del racconto è la decisione fondamentale che si deve compiere dopo l’incontro con Gesù. Il Signore salva l’uomo dalla sua malattia, dal male che lo attanaglia e gli viene posta una scelta: farsi considerare guarito e tornare alla sua vita di prima, nella vecchia logica, che prima di quel contatto lo aveva reso un rifiuto umano, oppure scegliere la sequela e l’annuncio, mettere la propria vita al servizio di Gesù e del Vangelo. Nessuno lo riammetterà nella società, lo considererà un indemoniato o peggio lo caccerà malamente e lo escluderà da tutto. Questa è la domanda radicale che pone Gesù: dopo l’incontro con la misericordia di Dio, puoi veramente essere ancora lo stesso di un tempo? Vivere ancora di ciò che ti ha avvelenato, continuare a pensare secondo le vecchie logiche?
Il lebbroso comincia a divulgare il gesto di misericordia che il Signore gli ha fatto, anche se questo non sarà mai compreso e lo porterà a molti guai.
Gesù stesso sa che quella guarigione non è un semplice prendere il male e buttarlo via, ma che ha un costo molto alto. Dopo questo incontro, il Nazareno non può più entrare pubblicamente in una città, non solo per la fama raggiunta, ma anche per l’astio che suscita nei potenti e nelle classi dominanti, le cui convinzioni e norme vengono sconvolte.
Gesù prende su di sé la piaga del sofferente e diviene lui l’emarginato e il malato, come nel servo sofferente di Isaia (Is 53); Dio accoglie la nostra sofferenza e se ne fa carico. Già in questo brano si comprende che l’incontro con il Signore sconvolge la vita, la rigenera, ma ciò che genera da esso non è solo un sentimento passeggero, una credenza comoda che ci fa vivere sempre felice e contenti come ebeti, ma una matura consapevolezza che la propria vita è un dono meraviglioso e prezioso di Dio, che ha senso solo quando viene donata e spesa nel servizio verso i fratelli, nell’annuncio dello sconfinato amore del Signore.
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