Il Vangelo di Marco: Il prologo (Mc 1, 1-14)

Il Vangelo di Marco

Il cammino del discepolo

Il Prologo del Vangelo di Marco (Mc 1, 1-14)

L'iscrizione di Pirene, data al 9 a.C. riporta la seguente iscrizione, relativa alla nascita dell'imperatore Augusto: 
"...poiché la provvidenza che mirabilmente ordina la nostra vita, che reca sollecitudine e liberalità, ha disposto il bene perfetto per la nostra vita dandoci Augusto, che riempì di virtù per il bene degli uomini facendo a noi e ai nostri discendenti la grazia di un salvatore che pone termine alla guerra e istituisce la pace, e poiché con la sua apparizione Cesare superò le speranze di tutti coloro che portano buoni annunci, non solo sorpassando i benefattori venuti prima di lui a anche non lasciando speranza di far meglio a coloro che verranno."
L'annuncio della nascita di Augusto, imperatore Dio, frutto della provvidenza è oggetto della più liete delle notizie. Sembra quasi parodistico pensare che con molta probabilità, qualche decennio dopo a Roma, Marco inizierà così il suo vangelo, con l'annuncio della gioia più grande che mai si sia vista e che mai avrà eguali, che da compimento alla provvidenza della storia: sorge il Cristo e il Figlio di Dio, Gesù. Questi titoli Marco li renderà espliciti sulla bocca dei suoi personaggi nel corso dell’opera. Tutto questo rimarca la provvidenza che muove la storia, la presenza fedele di Dio in ogni evento. Chi meglio dei profeti può trasmettere questo senso di vicinanza dello spirito divino, che accompagna passo dopo passo l’umanità? Così Marco, molto grezzamente, fonde la profezia di Isaia 40,3 con l’espressione di Michea 3,1: una voce che grida nel deserto, che annuncia la salvezza e la liberazione. Queste scritture annunciavano la fine della lunga attesa prima tornare nella propria terra per gli ebrei post esilio, aprendo un’autostrada nel deserto, da Babilonia a Gerusalemme, guidati dal nuovo re liberatore Ciro. L’evangelista rievoca la figura il re persiano che sconfisse i babilonesi, donatore di salvezza e liberatore dalla schiavitù, per annunciare che una nuova redenzione si sta per compiere. 

A fare da apripista a questo salvatore ecco che compare il Battista Giovanni, così, soprannominato perché battezzava nel Giordano coloro che decidevano di cambiare vita, di compiere una conversione profonda del cuore. Il deserto è il luogo di salvezza ed incontro con Dio (così è per Mosè e per Elia) ma è anche il luogo dell’attesa e della penitenza per l’espiazione del peccato (il popolo di Israele vagherà 40 anni nel deserto. Lo stesso fiume Giordano richiama il punto di passaggio per giungere nella terra promessa, dove Mosè morì e passo il testimone a Giosuè. Il Battista, in questo luogo così significativo, richiede una confessione dei propri peccati, accompagnato da un’immersione nel fiume, una morte alla dannazione e una rinascita a vita nuova. Non si trattava di un bagno rituale, di purificazione magica ma di un rito che sanciva la ferma volontà di essere fedele a Dio, nella giustizia e nella misericordia. Il gesto dell’immersione può essere gradito a Dio solo se il cuore è orientato al bene. Altrimenti è una pratica vuota, di semplice e pura ipocrisia, che sanifica l’esteriorità ma non nasconde la puzza del marcio interiore.
Il Battista viene descritto con le caratteristiche tipiche del profeta Elia (2 Re 1,8), profeta del fuoco e che fu rapito in cielo da Dio: si diceva che sarebbe tornato per riportare gli uomini sulla strada della rettitudine e indirizzare alla giustizia il popolo di Dio, prima della fine dei tempi (Mal 3, 22-25).

Ecco, quindi, che la profezia iniziale si compie nella figura di Giovanni, la voce del deserto che annuncia la salvezza e la conversione. Tuttavia, è solo il preludio a qualcosa di più grande, qualcuno di più forte. Come apre Marco il suo vangelo, siamo all’inizio della buona notizia. Non è infatti in Giovanni che la storia trova la sua pienezza e compimento. Qualcuno con autorità maggiore sta per giungere, a cui lui, che incarna il profeta per eccellenza, non può sciogliere i legacci dei sandali. Con questa espressione non solo Giovanni si dichiara non degno di servire questo misterioso personaggio, ma rifiuta anche il ruolo di salvatore e di protagonista. La legge del levirato permetteva il diritto di riscatto della donna che non aveva ricevuto figli da parte del parente più prossimo al marito. Israele ha perduto il suo sposo, non è più feconda,  ma il diritto di riscatto non è nelle mani di Giovanni. Nell’opera di Marco, dopo questo grande annuncio, il ruolo del Battista finisce.
Infatti, il suo battesimo è in acqua, non nello Spirito, che qui assume il senso del fuoco e del vento. Strano che Giovanni, dipinto come Elia, non sia il battezzatore del fuoco, colui cioè che giudica il cuore degli uomini per dare il giudizio definitivo: nel fuoco si può essere purificati se si possiede valore (l'oro è fatto fondere per eliminare impurità) oppure si finisce distrutti se non si ha sostanza. Questo sarebbe dovuto essere il giudizio degli ultimi tempi.

Entra in scena finalmente Gesù, annunciato al primo versetto. Questo uomo, venuto dalla Galilea, viene da Nazareth, un ridicolo villaggio nel I° sec, al punto che lo storico Giuseppe Flavio la ignora completamente nelle sue opere. Addirittura, alcuni ancora oggi rifiutano l’esistenza di questo luogo. Gesù si pone come seguace del Battista e giunto al Giordano si fa battezzare da Giovanni, come un peccatore che cerca la conversione, che vuole entrare a far parte di questa grande comunità che si sta creando.
Tuttavia, la sua immersione è più che un gesto rituale o d' iniziazione. Dio compare sulla scena, interviene nel battesimo di questo uomo. La teofania sancisce che l’attesa è finalmente finita, che tutte le scritture dei profeti si stanno per compiere. I cieli si aprono nuovamente, Dio parla dopo un lungo silenzio, causa di grande aridità, lo spirito di Dio discende come una colomba che si posa sul nazareno. Quel consenso che migliaia di fedeli di Giovanni hanno cercato immergendosi nel Giordano, ora è concesso a Gesù: Dio lo riconosce come il figlio prediletto, in cui il Signore si compiace. La vocazione di Gesù si esplicita chiaramente in questo momento, non come seguace di Giovanni o di uno dei tanti movimenti del tempo, ma come un nuovo inizio, una nuova creazione. Qualcosa di immenso ed incommensurabile accade nella storia; l’inizio dell’opera di Marco coincide con l’inizio dell’opera di Dio. Nel gesto del battesimo, Gesù non si pone come sottoposto di Giovanni ma si mette al servizio di Dio, che lo consacra servo (Is 42), l'eletto in cui dio si compiace, colui che è mandato per fare la volontà del Signore. L'offerta di servizio di Gesù nei confronti del padre è accettata: è lui il figlio prediletto, il servo fedele, colui che può testimoniare realmente la volontà divina. 

Paradossalmente, la scena successiva vede Gesù essere condotto dallo stesso spirito che lo ha consacrato nel deserto per essere tentato da Satana, il nemico, per 40 giorni.
Sembra assurdo che Dio stesso metta a rischio di cadere questo suo figlio prediletto, ma questi versetti nascondo un senso profondo: il periodo di 40 unità (giorni /anni) nel deserto richiama alla mente il libro dell’Esodo e il lungo peregrinare del popolo di Israele e delle figure di Mosè e di Elia che attraversano il deserto. Questo lungo periodo di prova, in mezzo alle belve, non è vissuto con disperazione perché il Signore dona tutto ciò di cui c’è necessità. Così, Gesù rappresenta il nuovo Adamo, servito dagli angeli e in pace con le bestie selvatiche che rappresentano il male. Non cede alla tentazione dell’accusatore, di Satana, ma ha potere sul male, lo vince definitivamente ed inaugura un nuovo paradiso terrestre. Gesù davanti alla tentazione ha come scudo saldo Dio, che gli offre protezione. A differenza di Adamo prima e del popolo di Israele poi, il Cristo fa completo affidamento a Dio e non gli viene a mancare la Sua benedizione e protezione. Un nuovo patto in Gesù è sancito, una nuova umanità trova compimento nel salvatore.

In questo prologo Marco non solo ci presenta Gesù, soggetto e oggetto dell'opera, ma crea la cornice adatta per far risaltare un concetto chiave: Gesù è colui in cui Dio si compiace, colui che Isaia raffigura nel servo, nel profeta che viene inviato, che salverà il popolo. Anche oggi sono troppi coloro che si ergono come Messia, con la falsa umiltà ipocrita dei nostri tempi e che propongo il loro "giudizio di fuoco". Tuttavia, Marco ribadisce che Dio agisce nella storia , manda suoi servi, operatori di bene e ci da modo di riconoscerli, di distinguerli dagli altri. Gesù è colui che viene per rivelare il cuore dell'uomo, per purificare col fuoco lo spirito dell'uomo, a bruciare il male che è in noi. Non sono certo esentati dalle difficoltà dei loro tempi, ma come nel deserto per Gesù, il Signore sostiene nel cammino e nella prova i suoi figli. Nel battesimo, sanciamo di appartenere a Dio e di servirlo a favore del bene. Oggi abbiamo la possibilità di confermare quella scelta e dono che il Signore ci fa. Chissà che anche noi potremmo essere portatori di gioia e serenità, in un tempo di crisi e di disperazione, d'incertezza e stanchezza, dove ogni idiota ha da annunciare la sua "buona novella", . Che oggi ci sia data la grazia di fare silenzio, porci al servizio e poter ascoltare la voce di Dio, che aprendo il cielo scacci le tenebre che ci sovrastano per poterci ricordare che siamo suoi figli amati.

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