Gesù e le dispute contro i Farisei: Parte seconda (Mc 2,18 - Mc 3,1-6)
Il Vangelo di Marco
Il cammino del discepolo
Gesù e le dispute contro i Farisei: Parte seconda (Mc 2,18 - Mc 3,1-6)
Terza disputa: la questione su digiuno (Mc2,18-20)
Vanno avanti le dispute tra Gesù e le figure di spicco dell' élite religiosa del tempo, i farisei e gli scribi, e ritornano sulla scena anche i discepoli del Battista, che portano avanti il movimento del maestro dopo il suo arresto (Mc 1, 14). Tra questi gruppi e la comunità di Gesù si evidenzia un punto di rottura: la questione del digiuno, osservata dai primi ma non dal gruppo del nazareno. Tale pratica era considerata obbligata dalla legge e dalla prassi religiosa in particolari condizioni ed era facoltativa in alcune occasioni speciali: nel giorno dell'Espiazione, come segno di penitenza (Lev 16) o ad esempio in concomitanza di lutti (Ne 9,1; Zc 8,19; 2 Sam 12, 3) ma sempre e comunque doveva essere accompagnato da una reale consapevolezza di tale gesto. Anche nel nascente cristianesimo, come riporta la Didaché (Cap 8,1), ciò che non deve accompagnare l'astinenza dal cibo è un' abbondanza di ipocrisia, che invece appare come elemento predominante presso i movimenti di oppostone a Gesù.
Didaché 8,1: "1. - Non osservate il digiuno quando lo fanno gli ipocriti: costoro digiunano il secondo e il quinto giorno della settimana; ma voi digiunate il quarto giorno e il giorno di preparazione al sabato."
Isaia 58:3-7: 3 "Perché", dicono essi, "quando abbiamo digiunato, non ci hai visti? Quando ci siamo umiliati, non lo hai notato?" Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi fate i vostri affari ed esigete che siano fatti tutti i vostri lavori. 4 Ecco, voi digiunate per litigare, per fare discussioni, e colpite con pugno malvagio; oggi, voi non digiunate in modo da far ascoltare la vostra voce in alto. 5 È forse questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l'uomo si umilia? Curvare la testa come un giunco, sdraiarsi sul sacco e sulla cenere, è dunque questo ciò che chiami digiuno, giorno gradito al SIGNORE? 6 Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? 7 Non è forse questo: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne?
Il digiuno quindi ha senso solo se accompagnato da opere buone e per mettersi nella posizione di un peccatore che chiede grazia a Dio e che desidera convertire il suo cuore al bene. Tuttavia, non può essere praticato nel momento di gioia e in particolare non era di certo la prassi da seguire in un giorno di festa come poteva essere un matrimonio. In questo parallelo, Marco contrappone due momenti fondamentali della vita di Gesù; mentre lui è in vita non si può digiunare. Infatti, la venuta del Signore sancisce l'unione nunziale di Dio con il suo popolo. Gesù è il Cristo e lo sposo atteso per ricongiungere Israele a Dio. L'immagine del matrimonio, tanta cara al profeta Osea ed al Trito Isaia (Os 2,16; Is 54,4-8; Is 62,4), si adatta ora alla figura del nazareno. La sposa adultera, alle volte dipinta anche come vedova, che ha tradito il suo patto di fedeltà allo sposo, viene ad essere perdonata ed è grande festa per questa unione, che sancisce una nuova salvezza. Per questo il gruppo gesuano non può osservare il digiuno mentre il maestro è ancora in vita. non è una pratica che viene rigettata o messa in discussione, tanto che i discepoli dovranno osservarla, in segno di lutto, dopo la dipartita del maestro, dopo che sarà a loro tolto. Viene tuttavia sollevata una contro critica ai movimenti farisaici e del Battista: di certo non hanno compreso che lo sposo è qui ed è fonte di vita e sostentamento, di un cibo che non finisce mai, venuto ad inaugurare quel banchetto celeste, che unisce Dio alla sua sposa, il popolo tutto, che è immagine del regno celeste. Sono così occupati a compiere tale esercizio di espiazione e sacrificio, cercando di trovare il modo di ostentare la loro superiorità che si sono dimenticati il senso di tale pratica, finendo per mostrarsi ipocriti e dovendo sminuire i discepoli per legittimare sé stessi. Nel scarificare il superfluo hanno finito per gettare via anche l'essenziale.
"13 Nel giorno di sabato, nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna 14 o in una fossa, di sabato, non la si tiri su. Nessuno celebri il sabato in un luogo vicino ai gentili. 15 Di sabato, nessuno profani il sabato a motivo di ricchezze e di guadagni. 16 Se una qualsiasi persona cade in un luogo (pieno) d’acqua o in un (altro) luogo, 17 nessuno la faccia salire con una scala, con una corda o con un qualsiasi altro oggetto. Di sabato, nessuno faccia salire qualcosa sull’altare 18 ad eccezione dell’olocausto del sabato."
Quarta disputa: le spighe strappate di sabato (Mc2,23-28)
"13 Nel giorno di sabato, nessuno aiuti una bestia a partorire e se cade in una cisterna 14 o in una fossa, di sabato, non la si tiri su. Nessuno celebri il sabato in un luogo vicino ai gentili. 15 Di sabato, nessuno profani il sabato a motivo di ricchezze e di guadagni. 16 Se una qualsiasi persona cade in un luogo (pieno) d’acqua o in un (altro) luogo, 17 nessuno la faccia salire con una scala, con una corda o con un qualsiasi altro oggetto. Di sabato, nessuno faccia salire qualcosa sull’altare 18 ad eccezione dell’olocausto del sabato."
Anche nel libro dei Maccabei viene posto il problema se sia lecito difendersi in giorno di sabato oppure no, combattendo il nemico alla porte o lasciandosi massacrare da loro (1 Mac 2,41 Matatia e i fratelli violano il sabato combattendo e salvando l loro vite). Il rispetto di tale giorno sacro era quindi una cosa di fondamentale importanza e creava una spaccatura nel mondo antico. Giuseppe Flavio esaltava tale pratica mettendo in mostra la grande dedizione del popolo ebraico, Tacito la vedeva come una superstizione e una follia inutile da disprezzare (Storie, 5,5). Nel racconto in questione vediamo Gesù e i discepoli che camminano in un campo di grano e passandoci in mezzo, colgono delle spighe con le mani. Marco non ci dice se agiscono per fame o per altri motivi di necessità. L'azione è del tutto inutile e faziosa in quanto riconducibile ad un lavoro non permesso (il raccogliere la spiga del grano) ed inoltre in probabile violazione del massino numero di passi che si potevano fare in tale giorno. La cosa ancora più sorprendente è che saltano fuori i farisei dal nulla (violando a loro volta la legge ?) che li accusano di non rispettare la sacralità del giorno che Dio stesso ha istituito. Gesù risponde citando un passo che sicuramente i dottori della legge conoscevano bene. Si tratta del brano 1 Sam 21, 2-7, in cui Davide, in fuga dal re in carica Saul che vuole ucciderlo per gelosia, si reca al tempo di Nob dal sacerdote Achimelech (Marco sbaglia dicendo che il sacerdote è Abiatar) e mentendogli (in quanto in viaggio a solo e non in missione per il re ma in fuga da lui) gli chiede i pani sacri, dedicati al culto (Lv 24,5-9). Il sacerdote acconsente purché lui e i suoi uomini siano puri. Al di là delle menzogna di Davide, non vi è una violazione formale e per di più viene da chiedersi che centra questo brano con l'azione dei discepoli e con ciò di cui è incriminato Gesù? In realtà, Davide prese dei pani lecitamente in certe circostanze, non commettendo quindi nessuna violazione significativa. Probabilmente però il senso della citazione nasconde un attacco indiretto alla incoerenza di alcun prassi delle classi dirigenti e dei religiosi del tempo. Infatti i pani dell'offerta sono sacri e riservati ai sacerdoti, ma Davide li prende e ne mangia. Le leggi di Mosè e le cose sacre in quel caso sono al servizio dell'uomo. Allo stesso modo, il sabato non può essere un giogo per cui legittimare la morte di una persona o per condannare chi non ha scelta. I sacerdoti stessi che di sabato officiano, sono esenti da questo vincolo stringente, applicando di fatto due pesi e due misure. Davide ovviamente è il re più grande di Israele e se lui ha potuto usufruire del sacro per fare il bene e salvarsi la vita, allora ancor più Gesù potrà usufruire della sacralità del sabato e ridonarlo all'uomo. La critica riguarda il ruolo che hanno le norme: l'uomo non è stato creato per seguire delle leggi preconfezionate (in questo caso il sabato) ma la legge è stata donata all'umanità, perché potesse essere guida per il popolo di Dio. Sarà sempre Gesù a dire che il suo giogo è leggero, a rileggere nella luce della giustizia le norme della tradizione. La cosa comunque più scioccante per un lettore che conosce la Torah è di certo che Gesù osa ridare il giusto ruolo al sabato, festività che Dio stesso ha istituito. Questo rimarca ancora una volta l'autorità di Gesù, il quale viene a ridare i doni di Dio così come lui stesso li ha pensati, senza tutte le folli appendici che gli uomini hanno aggiunto.
Quinta disputa: salvare una vita di sabato (Mc3,1-6)
Sulla falsa riga dell'episodio precedente, l'ultima scena che Marco presenta riprende i versetti di Mc 1,21 e chiude la sezione dell'attività di Gesù e di come essa sia stata accolta dagli uomini del suo tempo.Siamo ancora in giorno di sabato in sinagoga, dove il popolo si riunisce i preghiera, per ascoltare l'insegnamento dei maestri della legge. Ecco che viene introdotta la figura di uno dei presenti, che ha una mano paralizzata. Ancora surreale è la scena che dipinge Marco, con le autorità che attendono con attenzione di vedere se Gesù agirà per guarire quell'uomo. Ovviamente, avendone il potere, potrebbe salvarlo e magari farlo un qualunque giorno in cui non sia proibito, ma il racconto, costruito ad arte dall'autore, ha lo scopo di mostrare ancora una volta l'ipocrisia dei farisei e degli scribi. L'attenzione non è tanto al fatto che Gesù possa guarire ma al fatto che il prodigio avviene di sabato, compiendo un lavoro in qualche modo, che non era lecito fare. Anche la malattia del poveretto non sembra essere casuale ma si tratta di una paralisi della mano, proprio a sottolineare come le esasperate norme di rispetto del sabato paralizzino letteralmente l'uomo. Di nuovo, Gesù coglie le intenzioni malvagie dei maestri e prepara una contro trappola. Pone al centro il malato, così che sia visibile a tutti, e pone la fatidica domanda:
"È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?"
Il quesito non è per nulla banale. Come visto anche presso la comunità di Qumran, la risposta poteva essere anche negativa. Inoltre, come visto nei libro dei Maccabei, Matatia, comandante delle forze di liberazione della Palestina, si era battuto per combattere gli invasori, nonostante fosse sabato e aveva agito secondo una logica di emergenza. In questo senso entrambe le alternative erano valide e avevano un precedente, sia compiere il bene che il male, togliere una vita o salvarla. Ogni risposta poteva essere in questo modo contestata e di fatto si poteva rifiutare una giustificazione lecita o trovare una motivazione disonesta. Si sarebbe potuto affermare che tutto dipende dalla necessità del gesto, ma questo nella logica di Gesù non basta. Infatti, l'uomo non deve mai fare il male e sempre il bene, non può esister un giorno di sospensione da questo precetto. Il sabato invece paralizza l'agire verso il bene e a volte conduce a compiere il male, condannando chi viola tale legge o lasciando morire chi è in difficoltà. La differenza probabilmente la fa l'influenza sociale di chi viola la regola. Si arriva quindi a poter pensare che trasportare un paralitico al tempio non è un' urgenza ma sicuramente un lavoro che viola il sabato e il poveretto resta fuori dalla comunità (vedi la prima disputa Mc 2,1); di fatto non si sarebbe fatto del amale e nessun peccato sarebbe imputabile, ma sarebbe stata sciupata una possibilità di fare il bene. Gesù non può che ascoltare l'assordante silenzio dei ministri della legge, rattristandosi per la durezza del cuore di chi si erge a guida e maestro, ridonando all'uomo la liberta d'azione, simboleggiata dalla guarigione della mano del poveretto.
Per il Signore nessuna norma può essere più urgente che compiere il bene e testimoniare la misericordia di Dio. Davanti alle accuse create ad arte dai farisei e dagli scribi, Gesù risponde facendo riflettere sul senso profondo della critica rivoltagli, mettendone in evidenza l'ipocrisia che rende l'uomo paralizzato, emarginato, facendo divenire l'amore di Dio che libera una soffocante prigione, senza possibilità di uscita.
"È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?"
Il quesito non è per nulla banale. Come visto anche presso la comunità di Qumran, la risposta poteva essere anche negativa. Inoltre, come visto nei libro dei Maccabei, Matatia, comandante delle forze di liberazione della Palestina, si era battuto per combattere gli invasori, nonostante fosse sabato e aveva agito secondo una logica di emergenza. In questo senso entrambe le alternative erano valide e avevano un precedente, sia compiere il bene che il male, togliere una vita o salvarla. Ogni risposta poteva essere in questo modo contestata e di fatto si poteva rifiutare una giustificazione lecita o trovare una motivazione disonesta. Si sarebbe potuto affermare che tutto dipende dalla necessità del gesto, ma questo nella logica di Gesù non basta. Infatti, l'uomo non deve mai fare il male e sempre il bene, non può esister un giorno di sospensione da questo precetto. Il sabato invece paralizza l'agire verso il bene e a volte conduce a compiere il male, condannando chi viola tale legge o lasciando morire chi è in difficoltà. La differenza probabilmente la fa l'influenza sociale di chi viola la regola. Si arriva quindi a poter pensare che trasportare un paralitico al tempio non è un' urgenza ma sicuramente un lavoro che viola il sabato e il poveretto resta fuori dalla comunità (vedi la prima disputa Mc 2,1); di fatto non si sarebbe fatto del amale e nessun peccato sarebbe imputabile, ma sarebbe stata sciupata una possibilità di fare il bene. Gesù non può che ascoltare l'assordante silenzio dei ministri della legge, rattristandosi per la durezza del cuore di chi si erge a guida e maestro, ridonando all'uomo la liberta d'azione, simboleggiata dalla guarigione della mano del poveretto.
Per il Signore nessuna norma può essere più urgente che compiere il bene e testimoniare la misericordia di Dio. Davanti alle accuse create ad arte dai farisei e dagli scribi, Gesù risponde facendo riflettere sul senso profondo della critica rivoltagli, mettendone in evidenza l'ipocrisia che rende l'uomo paralizzato, emarginato, facendo divenire l'amore di Dio che libera una soffocante prigione, senza possibilità di uscita.
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